Riferimenti francescani nella riflessione di Simone Weil
Riferimenti francescani nella riflessione di Simone Weil
Dic 08
Oggi pubblichiamo il primo articolo di Simone Novara, laureato in Filosofia presso l’Università di Genova. Simone inizia la sua collaborazione con Filosofia Blog trattando dell’influenza di Francesco d’Assisi sul pensiero si Simone Weil. Ringraziandolo per il contributo, gli diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.
Nel pensiero di Simone Weil la presenza di Francesco rappresenta una vera e propria costante; il primo a sostenere tale teoria è stato André Devaux, l’organizzatore del primo colloquio su Simone Weil ad Assisi nel 1986. Nel suo intervento, pubblicato nei due numeri successivi dei Cahiers della Weil nel 1987 sotto il titolo Simone Weil et François d’Assise, Devaux propone tre linee guida per evidenziare l’incisività di San Francesco nella filosofia weiliana. In primo luogo, l’amore della bellezza del mondo, secondariamente, lo spirito di povertà con riferimenti ai concetti di purezza e castità e, per concludere, la configurazione alla Passione e alla Croce di Cristo. Questi tre elementi si legano fra loro [1].
Nell’Autobiografia spirituale, risalente al 1942, la Weil scriverà a padre Perrin:
Quanto allo spirito di povertà, non ricordo momenti in cui non sia stato presente in me, nella misura, sfortunatamente debole, in cui ciò era compatibile con la mia imperfezione. Sono stata rapita da San Francesco da quando ho avuto conoscenza di lui. Ho sempre creduto e sperato che la sorte mi avrebbe spinto un giorno per costrizione in questo stato di vagabondaggio e di mendicità in cui egli è entrato liberamente. Non pensavo di arrivare all’età che ho senza essere almeno passata attraverso una simile condizione. E lo stesso valeva per la prigione [2].
Francesco, per la Weil, ha incarnato l’ideale di vita da lei intravisto per se stessa, quello in cui contemplazione e azione sono indissolubilmente unite:
L’esempio di Francesco mostra quale posto la bellezza del mondo può avere in un pensiero cristiano. Non solo il suo poema, è poesia perfetta, ma tutta la sua vita fu poesia perfetta in azione [3].
Queste parole dimostrano ancora una volta la presenza dell’impronta di Francesco in Simone Weil. Ella fa riferimento implicitamente, oltre che allo spirito di povertà, all’amore francescano del mondo. Lo stato di vagabondaggio, di cui parla la pensatrice, richiama un sentimento di universalità, che aspira non solo alla povertà, ma anche alla totalità del mondo. Lo spirito di povertà, dunque, rappresenta il distacco, che la Weil, sulla scia di Francesco, definisce come una condizione di santità. Esso permette alla creatura di non considerarsi più al centro del mondo, ma di tendere verso la totalità dell’universo e in questo modo raggiungere, implicitamente, il vero centro che è Dio [4].
L’amore della bellezza del mondo è, simultaneamente allo spirito di povertà, un motivo primario di ammirazione della Weil per San Francesco; tra il 1933 e il 1934, quando insegnava a Roanne, si accosta alla concezione religiosa degli stoici, che prevedeva l’amore universale, proprio con spirito francescano:
Dunque: nessuna rassegnazione ma la gioia […]. Si devono accettare con gioia tutte le sofferenze (ben inteso di cui non si è responsabili). San Francesco è un puro stoico [5].
In questo passo la Weil si riferisce allo stoicismo greco e alla sua visione di amore del mondo, propriamente nella prospettiva di Epitteto e Marco Aurelio; tale prospettiva, a detta sua, è stata perduta sia dallo stoicismo romano sia dal cristianesimo moderno. Su quest’ultimo scriverà:
Il cristianesimo non si incarnerà se non avrà inglobato il pensiero stoico, la pietà filiale per la città del mondo, per la patria quaggiù che è l’universo. Il giorno in cui, per un malinteso, oggi ben difficile a comprendere, il cristianesimo si è separato dallo stoicismo, si è condannato ad un’esistenza astratta e separata [6].
Certamente non sono le stigmate di San Francesco che convinsero la Weil della sua identificazione con Cristo, ma la forma perfetta della sua vita e del suo amore che ne hanno fatto un nuovo Cristo: ebbro di un amore sovrannaturale e universale.
Inoltre, Devaux mette in parallelo alcune preghiere ben conosciute di San Francesco con quelle di Simone Weil. Nell’Absorbeat, la preghiera dell’assorbimento in Dio, Francesco si esprime così:
Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato di morire per amore dell’amor mio.
Queste parole possono accostarsi alla particolare preghiera che la Weil scrisse e recitò a New York:
Padre […] sradica da me questo corpo e questa anima per farne cose tue, e non lasciar sussistere eternamente questo sradicamento stesso o piuttosto il niente […], che tutto ciò sia sradicato da me, divorato da Dio, trasformato, in sostanza del Cristo, donato da mangiare agli afflitti, il corpo e l’anima dei quali mancano di ogni specie di nutrimento [7].
Note
[1] E. Gabellieri, Dall’Inno ai Filippesi al cantico di fratello Sole: Simone Weil tra Paolo e Francesco, in Per un nuovo Umanesimo, Francesco D’Assisi e Simone Weil, Città Nuova, Roma 2012, pp. 81-82.
[2] Weil, Autobiografia spirituale, in Attesa di Dio, Adelphi, Milano 2008, pp. 23-36.
[3] Ibid.
[4] Gabellieri, Dall’Inno ai Filippesi al cantico di fratello Sole: Simone Weil tra Paolo e Francesco, p. 83.
[5] Weil, Attesa di Dio, p. 167.
[6] Ibid.
[7] Gabellieri, Dall’Inno ai Filippesi al cantico di fratello Sole: Simone Weil tra Paolo e Francesco, p. 86.