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L’atto interpretativo secondo Gadamer

L’atto interpretativo secondo Gadamer

Gen 02

 

 

Hans-Georg Gadamer nella sua opera chiave, Verità e metodo, si sforzò di ripensare il rapporto tra interpretazione e testualità. In questo contesto ermeneutico, il filosofo tedesco prende le mosse dalla prospettiva heideggeriana del comprendere; questa è intesa come un’apertura progettuale, da applicarsi al rapporto con i testi:

Chi si mette ad interpretare un testo attua sempre un progetto. […] La comprensione di ciò che si dà da comprendere consiste tutta nell’elaborazione di questo progetto preliminare, che ovviamente viene continuamente riveduto in base a ciò che risulta dall’ulteriore penetrazione del testo. [1]

Questa concezione gadameriana traccia le linee generali di quel circolo ermeneutico che si instaura fra interprete ed interpretandum, che per Martin Heidegger è l’unico percorso possibile e concreto per approdare all’attuazione del comprendere.

Il comprendere, quindi, incarna un processo capace di evolversi costantemente, al fine di raggiungere un maggiore arricchimento del significato complessivo del testo. Questo perché ogni revisione di quel progetto iniziale porta all’elaborazione di un nuovo progetto di senso; progetti diversi, infatti, possono essere messi a confronto, arrivando, anche se non sempre, ad una visione più chiara e lineare del testo. L’obiettivo a cui tende il processo interpretativo è ottenere un significato coerente e unitario del testo. Il processo del comprendere e dell’interpretare, dunque, per Gadamer, rappresenta un continuo rinnovamento del progetto iniziale. Non solo:

chi cerca di comprendere è esposto agli errori derivati da pre-supposizioni che non trovano alcuna conferma nell’oggetto. Compito permanente della comprensione è l’elaborazione e l’articolazione di progetti corretti e adeguati. [2]

L’interprete, nel momento in cui si approccia al testo, non è una semplice tabula rasa, ma verrà, inevitabilmente, condizionato dai suoi pregiudizi, da quella sua “pre-comprensione”. Il compito dell’interpretazione risulta essere, quindi, interminabile, visto che dovrà mettere, progressivamente, in discussione quel sapere storico, già acquisito, che costituisce il bagaglio culturale dell’interprete, in perenne mutamento. Sono proprio questi mutamenti costanti della nostra “pre-comprensione” a costituire il presupposto di altrettante riletture di un testo, che arrivano così a produrre nuove ipotesi interpretative. Secondo Gadamer, inoltre, possono nascere degli urti fra la “pre-comprensione” dell’interprete e il testo. L’urto si manifesta quando il senso del testo contrasta le aspettative o la memoria storica dell’interprete. Esso è estremamente utile, perché costringe il lettore a prendere coscienza dei suoi pregiudizi, che possono avere, in negativo ovviamente, un ruolo decisivo nella sua analisi testuale. Dopo aver compiuto una emendatio nei confronti dei propri preconcetti, allora, sempre secondo la teoria di Gadamer, l’interprete potrà affidarsi alla pratica della lettura e a quella dell’ascolto, due strumenti necessari per un approccio oggettivo al testo. In questo modo il lettore non rischia fraintendimenti del messaggio del testo e scopre, così, la diversità del testo rispetto alla propria forma mentis, arrivando a cogliere l’effettiva distanza temporale con il suo orizzonte storico-culturale [3].

 

Note

[1] H.-G. Gadamer, Verità e metodo, trad. it. di G. Vattimo con testo tedesco a fronte, Bompiani, Milano, 2000, p. 553. Cfr. M. Heidegger, Essere e Tempo, trad. it. di P. Chiodi, Longanesi, Milano, 2005, p. 188.

[2] Ivi, p. 555.

[3] Ibid.

 

 


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