Temi e protagonisti della filosofia

L’anti tra metafisica e scienza. Il problema del linguaggio in Heidegger e Carnap

L’anti tra metafisica e scienza. Il problema del linguaggio in Heidegger e Carnap

Feb 23

Nel campo della metafisica, l’analisi logica conduce al risultato negativo, per cui le presunte proposizioni di questo àmbito si dimostrano del tutto prive di senso.
R. Carnap, “Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio”, in Neoempirismo.

È la peculiarità del pensiero filosofante di muoversi in un vortice che porta al non-fondamento. La filosofia sta sempre nel vortice.
M. Heidegger, Logica e linguaggio.

 

Il dibattito filosofico sulla relazione metafisica-scienza, che a sua volta si inserisce nel più ampio campo della relazione che la scienza tecnica instaura con la filosofia, produce una gran quantità di opinioni contrastanti da tempo immemore, tuttavia è nel corso del XX secolo che tale problematica assume una maggior risonanza mediatica: il crescente sviluppo della tecnica nel novecento mette apertamente in crisi l’attività speculativo-filosofica. È la stessa figura del filosofo ad essere minata; infatti, sempre più, nel novecento va scomparendo la figura del grande pensatore, che aveva dominato la scena fino a quel momento, in favore di nuove figure che sulla scorta dell’invocazione al maggior tecnicismo del sapere producono opere su materie circoscritte. In questo quadro intellettuale, la filosofia, specialmente nel suo discorso metafisico, è sempre più accusata di essere una speculazione vana e inutile all’incremento delle conoscenze umane, conoscenze di cui invece si avverte sempre più smania. Nel secolo della pubblicizzazione dell’umano e delle sue relative attività, non sono mancate naturalmente le occasioni nelle quali il pensiero metafisico e quello scientifico hanno potuto confrontarsi l’uno “contro” l’altro. Una delle più importanti occasioni di dibattito fu la celebre conferenza di Davos [1], tenuta nel 1929 e alla quale presero parte come relatori Martin Heidegger e Ernst Cassirer: tra gli spettatori, uno su tutti, Rudolf Carnap [2], importante esponente empirista-positivista del circolo di Vienna. Il contributo di Carnap al dibattito non venne direttamente dai lavori di Davos, ma indirettamente, dai commenti e dai saggi pubblicati dopo il ’29. L’argomento del dibattito di Davos era l’interpretazione di Kant, e più precisamente il ruolo della filosofia kantiana nel campo della conoscenza: è proprio in questa chiave di lettura che gli interventi del ’29 gettano le basi di un ampio dibattito sui metodi della scienza e della filosofia. La presente riflessione vorrebbe prendere in esame il rapporto problematico che si instaura tra metafisica e scienza, e tentare, inoltre, un approfondimento sul ruolo centrale svolto dal linguaggio in questo campo. A tal fine si prenderanno in esame più da vicino le posizioni sostenute da Heidegger e Carnap, circa il suddetto dibattito, in quanto probabilmente espressioni di due estremi opposti [3] che, paradossalmente, per certi aspetti divengono parecchio vicini. Molto lontani, forse diametralmente opposti, perché il pensiero dei due ha modalità di svolgimento agli antipodi; vicini invece, in quanto, se si abbandona lo sguardo superficiale e si adotta un taglio interpretativo più profondo, ci si rende conto di come vi sia un grande e fondamentale problema che si ripropone sia alla base della ricerca heideggeriana che di quella carnapiana.

La questione comune è rappresentata dall’esigenza di un superamento di quel campo specifico di indagine della filosofia che è chiamato metafisica: Heidegger torna spesso nei suoi scritti a tale proposito, ma è certamente nel testo intitolato Che cos’è metafisica?, che riporta le parole pronunciate nel 1929 [4] in occasione del suo insediamento come professore presso l’università di Friburgo, che si dedica con maggior attenzione alla trattazione del tema; Carnap invece espone numerose considerazioni in merito al rapporto metafisica-scienza in un articolo intitolato Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio contenuto all’interno della rivista Erkenntis del 1932 e comparso in Italia all’interno dell’opera intitolata Il neoempirismo [5]. Quello che emerge fin da una prima lettura dei testi in questione è il modo differente con il quale i due autori intendono disfarsi della metafisica tradizionale: entrambi la percepiscono come un ostacolo alla conoscenza dell’uomo; tuttavia, mentre Heidegger si propone un superamento del modo classico di intendere la metafisica in favore di un nuovo modo che orienti il pensare umano verso qualcosa di più proficuo, un cambio di prospettiva insomma, quello che propone Carnap è un agire molto più deciso e drastico, tanto da auspicarsi una totale abolizione del processo speculativo metafisico. A questo punto si comprende agevolmente come le posizioni dei due pensatori divergano nettamente sul modus operandi l’uscita dalla metafisica: il matematico tedesco è un fervido sostenitore della logica moderna e come tale, assumendo una posizione estrema, crede di poter dimostrare, attraverso lo strumento della logica stessa, l’inconsistenza totale del dire metafisico, tanto da affermare che «nel campo della metafisica l’analisi logica conduce al risultato negativo, per cui le presunte proposizioni di questo àmbito si dimostrano del tutto prive di senso» e che le proposizioni della metafisica «si rivelano pseudoproposizioni». Una precisazione sulle pseudoproposizioni è necessaria se si vuole comprendere la portata dell’affermazione carnapiana: è, per Carnap, una pseudoproposizione per eccellenza l’affermazione heideggeriana secondo la quale «il Niente nientifica» [6]; ciò si chiarisce sulla scorta di affermazioni del matematico, che indicano come siano proposizioni considerabili al fine di attribuire loro un certo valore di verità, solo quelle costituite da parole dotate di senso, dove per parole dotate di senso Carnap intende nomi che richiamano necessariamente delle qualità empiriche. L’idea che guida l’affermare carnapiano è che il mondo è fondato su una struttura di conoscenze basate sull’esperienza empirica. Mediante l’analisi logica del linguaggio auspicata da Carnap, e richiamata nel titolo stesso del suo lavoro, si perverrebbe all’affermazione secondo la quale solo il campo della scienza empirica regge il nesso logico-formale tra i vari concetti, laddove invece la metafisica fallisce e presenta proposizioni incapaci di rispettare tale nesso formale. In generale, dunque, le parole della metafisica non soddisfano tale criterio, e anche quando certi nomi usati dai metafisici hanno significato di per sé, lo vanno a perdere a causa di un impianto sintattico profondamente sbagliato nel quale il filosofo li inserisce. Ancora nel saggio intitolato Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio, la metafisica viene definita senza nessun riguardo come «ingannatrice» e «illusoria», in una visione che vorrebbe che la filosofia fosse «scientifica» e che descrive il metafisico come qualcuno che non solo, con le sue pseudoproposizioni, inganna il lettore, ma inganna addirittura se stesso: nella citazione carnapiana «i metafisici non sono che dei musicisti senza capacità musicale» sembra darsi un ritratto del filosofo metafisico come di un frustrato che vaneggia. La metafisica viene a valere per Carnap meno delle favole, tanto che afferma:

la metafisica non è per noi una mera chimera o una favola. Le proposizioni di una favola non contraddicono la logica, ma solo l’esperienza; esse sono pienamente dotate di senso, sebbene false.

La comprensione del reale passa per Rudolf Carnap in modo necessario attraverso la logica: solo essa col suo potere universalistico può accordare gli uomini sul significato delle parole e delle cose che le parole “chiamano”. In questa ricerca di un linguaggio universale che non generi più problemi di interpretazione si può rintracciare il desiderio che duecento anni prima aveva tanto affascinato Leibniz, quando parlava di calculus ratiocinatur, ovvero quello che oggi potremmo chiamare l’antenato stesso della logica simbolica: tuttavia, lo stesso filosofo inventore della prima macchina calcolatrice finì col giustificare la metafisica come àmbito di ricerca precedente alla logica, in quanto la metafisica è quel settore della filosofia che si occupa di problemi come quello di Dio, che non si può negar essere un motore antecedente alla scienza logica; infatti sottostava all’idea di un calculus ratiocinatur la convinzione di un mondo governato da leggi stabili e raggiungibili dal pensiero, ma poste da un Dio, il quale era, in ultima analisi, affermato metafisicamente [7]. Carnap invece rifiuta interamente la portata della metafisica, mettendo in primo piano l’atteggiamento scientista di riduzione del reale al logico mediante il passaggio (necessario) all’empirico, laddove i metafisici concepiscono invece la loro indagine in modo opposto, ovvero attraverso la nozione di complessità (che spesso rimane irriducibile).

Più avanti si tornerà su una definizione che lo stesso Carnap dà di se stesso, annoverandosi tra i cosiddetti “antimetafisici”; tuttavia ora è bene mettere in risalto le differenze del pensiero heideggeriano rispetto ai medesimi punti presentati per il suo contemporaneo.

Martin Heidegger sente il bisogno, sin da Essere e tempo [8], e, più esplicitamente, a partire da Che cos’è metafisica?, di ripensare la metafisica tradizionale: essa presenta un limite importantissimo che non permette all’uomo di tornare in se stesso e di comprendere il mondo a partire da una posizione che tende alla verità [9]. Il limite consiste nel rapportarsi dell’Esserci, nel suo fare metafisico, con l’ente e mai con l’essere, ovvero nel problema dell’oblio dell’essere. Heidegger non propone un abbandono della metafisica, non la descrive come inutile, insensata, illusoria in senso assoluto, bensì propone un suo ripensamento, in modo tale che essa possa dare nuova linfa alla ricerca umana. Nella condizione attuale, che è quella che metafisicamente si è data da Platone fino a Nietzsche, l’Esserci si concentra sull’ente, sulla contingenza, tralasciando la cosa che più propriamente lo fonda, ovvero l’essere: l’essere, ovvero quel concetto che Carnap afferma essere tipicamente metafisico e che, in Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio, viene descritto come privo di valore; infatti pensare la nostra esistenza come un predicato (cosa che Heidegger fa) sarebbe propriamente una deviazione del significato del termine.

Fondamentale per comprendere il ritorno all’essere di cui parla Heidegger è il riferimento al celebre Niente, protagonista dell’affermazione che tanto sconvolse Carnap: dire che «il Niente nientifica» per Heidegger significa innanzitutto distinguere il Niente dall’ente; infatti, nella prolusione del ’29, il filosofo sembra affermare che in questo Niente, venuto alla luce nello stato d’animo dell’Esserci dell’angoscia, si arriva a comprendere qualcosa di altro dall’ente, qualcosa che si può pensare come l’essere stesso.

Com’è che ovunque l’ente ha il primato e rivendica a sé ogni “è”, mentre ciò che non è ente, il Niente, inteso come l’essere stesso, resta nell’oblio? [10]

È dunque solo attraverso quel Niente duramente criticato, che per Heidegger può avere inizio il processo di distaccamento dall’ente da parte dell’Esserci e il suo ritrovamento nell’essere autentico. Quando Heidegger afferma che «la scienza del Niente non ne vuol sapere niente» [11] sostiene che essa, esentandosi dall’indagine sul Niente, si giustifica anche per il non interrogarsi sull’essere, e finisce per sprecare tutte le sue energie sull’ente, rinunciando ad un gradino superiore del domandare. Volendo rendere con una metafora, forse azzardata, la questione, potremmo dire che l’uomo perso nella sola scienza di giorno vede gli oggetti ma non la luce, di notte il buio e non gli oggetti, mentre l’uomo che concepisce il Niente di giorno arriverebbe a vedere la luce (metafora dell’essere) oltre che gli oggetti (metafora dell’ente).

Inoltre, in Che cos’è metafisica?, Heidegger afferma che fare a meno in senso assoluto della metafisica per l’uomo è impossibile, in quanto essa è costitutivamente parte dell’essere uomo: vi sono per il filosofo di Meßkirch delle questioni che stanno fuori dall’enunciare della logica, sfuggono alle stringenti leggi sintattiche del parlare scientifico, ma lo fanno in modo necessario in quanto, appunto, costitutivo dell’uomo. La domanda metafisica sull’essere è un esempio di domanda primaria che l’uomo “sente”; l’Esserci percepisce il problema dell’essere al di là della sintassi della logica moderna: vi tende in quanto partecipa di quello stesso essere, e, in questo quadro, la metafisica heideggeriana va intesa come pensante l’ente in seno all’essere e non più separato da esso. Ancora sulla questione dell’essere, Heidegger risponderà nel 1935 all’attacco ricevuto da Carnap nel 1932, secondo il quale l’«essere» è uno di quei termini senza senso con cui la metafisica si illude, cercando di dimostrare che l’analisi logico-grammaticale, auspicata dal matematico, del termine «essere», non basta a penetrare il senso più profondo del problema metafisico nominato da tale parola fondamentale.

Volendo riassumere brevemente, i punti di indagine toccati fin ora sono fondamentalmente due: abbiamo visto come da una parte entrambi i pensatori individuino nella metafisica un problema, e dall’altra come in modo molto diverso propongano una soluzione; l’uno (Carnap) dimenticandosi per sempre della metafisica in favore della logica, e l’altro (Heidegger) superando la metafisica tradizionalmente fallace in favore di una metafisica che sappia centrare il punto essenziale, ovvero quello dell’essere. Quella che appare ad Heidegger come una domanda fondamentale, ovvero la questione metafisica, non può essere considerata nello stesso modo in Carnap, in quanto, in Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio, egli dimostra come il dire metafisico non possa nemmeno dichiararsi una domanda:

se non è possibile specificare il significato di una parola, o se la successione di parole non è fondata secondo le regole della sintassi, allora non ci troviamo neppure di fronte ad una domanda.

Centrale a tutta la questione si è posta la problematica del linguaggio: se la speculazione può essere metafisica o logico-scientifica ne deriva che, essendo essa esplicata e divulgata mediante la parola, anche il medium può essere distinto secondo il suddetto schema dicotomico. Mentre per Carnap quella sul linguaggio è una questione ti tipo tecnico che si risolve in alcuni aspetti formali, per Heidegger essa è una domanda che si presenta in relazione costitutiva alla domanda su che cosa sia l’uomo [12]. Al riguardo è interessante vedere come, tra le posizioni opposte di Heidegger e Carnap, l’uno intento a dimostrare che la logica non può arrivare a cogliere tutte le domande che l’uomo costitutivamente porta con sé [13], l’altro tutto dedito a convincere che solo la riduzione al logicismo del linguaggio può donare significati al mondo, si inserisca la posizione nuova di Ernst Cassirer [14]. Quella del filosofo di Breslavia è una concezione del problema linguistico, che, come si è visto, è strettamente legata a quella del rapporto metafisica-scienza, intermedia, e in un certo senso sintetica rispetto alle posizioni heideggeriane e carnapiane: da un lato Cassirer condanna la posizione scientista di Carnap e tende a dare dignità al discorso culturale oltre che a quello puramente scientifico, dall’altro concorda con essa sull’oggettività del dire fisico; tuttavia pensa che affianco al procedere rigoroso del discorso logico esista anche un’oggettività tutta specifica delle scienze culturali che permette di reinterpretare di continuo l’operato dell’uomo sulla base dei tempi e delle prospettive peculiari. Le scienze culturali unificano l’essere umano senza tendere all’universalità delle leggi come invece fanno le scienze logico-fisiche. Cassirer presenta la psicologia, la linguistica e l’etnografia come esempi di mezzi di indagine sulle forme simboliche umane che stanno alla base delle stesse scienze empiriche determinando nel processo conoscitivo una progressione dialettica delle stesse forme simboliche. Da questo punto di vista Cassirer sembra essere “morbido” con Heidegger e, talvolta, dimostra di apprezzarlo nella sua interpretazione kantiana, tuttavia intende universalizzare sul piano simbolico i concetti che per Heidegger sono invece destinati solo agli utilizzabili del mondo: la simbolizzazione cassireriana punta ad un livello superiore di conoscenza. Relativamente alla questione del simbolo è interessante ed esplicativa la seguente citazione dall’opera di Cassirer intitolata Filosofia delle forme simboliche:

da qui risulta il nuovo compito che si pone alla critica filosofica della conoscenza. […] Essa deve impostare la questione se i simboli intellettuali, alla cui luce le discipline particolari considerano e descrivono la realtà, siano da pensarsi come un insieme di elementi giustapposti oppure si possano intendere come manifestazioni diverse di un’unica e medesima fondamentale funzione spirituale.

La filosofia di Cassirer differisce da quella heideggeriana per il fondamento teleologico che la anima e che intende portare i concetti del mondo al livello astrattivo-simbolico per universalizzarli e renderli applicabili alle verità scientifiche, renderli pertanto oggettivi. La logica nel pensiero cassireriano verrebbe dunque ad assumere un ruolo di caratteristico universale che esprime l’essere simbolico tipico dell’uomo, e permette di descrivere le leggi del mondo attraverso la matematica e la fisica. Il legame tra simbolismo e caratteristica universale, che facilmente si delinea in Cassirer, ricorda molto da vicino la nozione di «caratteristica universale» presentata trecento anni prima da Leibniz: in uno stralcio di una lettera del filosofo inviata allo studioso Galloys, e riportato nel testo di M. Davis intitolato Il calcolatore universale, si evince il suo grande entusiasmo per questa «caratteristica» e il presentimento delle grandi potenzialità di questo ipotetico alfabeto del pensiero umano:

[…] usando questi caratteri sarà impossibile scrivere chimere come quelle che a volte ci si presentano alla mente. Un ignorante o non sarà in grado di usare questa scrittura, o cercando di usarla diventerà un erudito. [15]

Dalle righe di un saggio leibniziano, ma pubblicato con un titolo non originale, ovvero Storia ed elogio della lingua caratteristica universale che sia al tempo stesso arte dello scoprire e del giudicare [16], si evince come il grande entusiasmo dello stesso Leibniz per la caratteristica sia dovuto al fatto che essa rappresenterebbe un alfabeto del pensiero umano capace per la prima volta di condensare l’azione dello scoprire e quella del giudicare: si renderebbe così possibile eliminare il problema del giudizio soggettivo sul valore delle singole argomentazioni nel corso dei dibattiti.

Tornando a Cassirer, per quanto il filosofo su certi aspetti si impegni a stemperare la tensione tra scienza e filosofia, intesa come processo culturale, tuttavia, con l’auspicio di una logica che universalizza derivata dalle forme simboliche, sembra maggiormente tendere la mano al pensiero di Carnap (che appare tuttavia molto più rigido e stringente), mentre rimane distante da quello dell’autore di Essere e tempo in quanto quest’ultimo rigetta in tutti i modi la nozione di “verità universalmente valida”. Tale peculiare avversione di Heidegger nei confronti dell’universalità si ritrova anche in un’affermazione pronunciata, in età matura, nel corso delle lezioni del seminario del semestre invernale 1966/67, quando disse che «bisogna ogni giorno ripensare i concetti a nuovo, in modo nuovo».

Il quadro presentato intende dimostrare la complessità che si cela dietro il dibattito sul rapporto tra scienza e metafisica, soprattutto alla luce della spigolosità del relativo problema del linguaggio: tale questione molto spesso si è risolta in rigide prese di posizione da parte dei sostenitori di un filone interpretativo o di quello opposto. La contrapposizione tra le due prospettive di indagine è talmente vera che lo stesso Friedman la pone, ipoteticamente, alla base della separazione tra filosofi continentali ed analitici [17]. La questione rimane irrisolta, aperta, senza una ragione o un torto assoluti, bensì con una costellazione di posizioni diverse che si aggrovigliano nel mare della produzione speculativo-scientifica del nostro tempo. Ma forse proprio a causa del suo carattere non risolto, la questione sembra appartenere più che mai a quell’ambito metafisico designato sia da Heidegger che da Carnap; per il primo in quanto domanda che va al di là di ciò che è schematizzabile, per il secondo come questione che non presenta un tangibile riscontro con il mondo empirico. Si può, paradossalmente, e con notevoli complicazioni, pensare il problema metafisico come necessariamente intriso di metafisica.

Quello che può apparire abbastanza chiaro è, invece, che nei diversi atteggiamenti con cui ci si pone di fronte al problema metafisico vi sia grande differenza: torniamo, infatti, come anticipato, all’autodefinizione da parte di Carnap come «antimetafisico». Se associamo a tale nozione una citazione di Heidegger, presa da un corso pubblico tenuto nel semestre invernale 1942-43 e pubblicato col titolo Parmenide, secondo la quale «ogni “anti” pensa nel senso di ciò contro cui è anti» [18], diventa plausibile una sorta di critica al pensiero carnapiano: Heidegger intende dire che una posizione opposta ad un’altra è tentata di somigliare alla posizione stessa contro la quale si oppone; in questo modo, Carnap, scagliandosi apertamente contro la metafisica, facendone tabula rasa senza considerare il valore che essa ha, nonostante la sua certa problematicità, ricade a sua volta in una posizione parziale che non apre ad una conoscenza vera.

Affermare, come fa Carnap, che solo ciò che appare scientifico è considerabile reale vuol dire, secondo Heidegger, mettere da parte quell’umanità che invece per il filosofo precede ogni scientificità: lo stesso Heidegger nel Poscritto a Che cos’è metafisica? del 1943 afferma che la capacità di lasciarsi angosciare dal Niente e, dunque, di percepire il problema dell’essere, e quella di meravigliarsi dell’esistenza delle cose sono le caratteristiche proprie dell’essere umano. La logica scientista di Carnap invece sembra dirci che siccome tutto corrisponde ad una regola, tanto nell’accadere quanto nel dire tale accadere, non si dovrebbe dare nell’uomo quella meraviglia di cui parla Heidegger, e tuttavia come possiamo realmente affermare di non meravigliarci dinnanzi al mondo? Come sarebbe possibile la scienza stessa senza tale meraviglia?

 

Note

[1] In realtà il tema della conferenza del 1929 riguardava il neokantismo; tuttavia, anche mediante le osservazioni appuntate dallo spettatore Carnap, fu alla base di un fecondo interrogarsi indiretto sul rapporto metafisica-scienza.

[2] Le linee generali del dibattito di Davos, assieme a numerose considerazioni che ampliano il discorso, sono restituite in un libro del 2004 di Michael Friedman intitolato nell’edizione italiana La filosofia al bivio: Carnap, Cassirer, Heidegger.

[3] È lo stesso Heidegger nell’Appendice del 1964 alla conferenza Fenomenologia e teologia a definire la propria e quella carnapiana come le due «estreme posizioni opposte» della filosofia contemporanea.

[4] La prolusione heideggeriana nella sua pubblicazione è stata integrata nel 1943 con un Poscritto dello stesso filosofo e nel 1949 da una Introduzione sempre dello stesso Heidegger.

[5] A. Pasquinelli (a cura di), Il neoempirismo, UTET, Torino 1969.

[6] Espressione ricorrente in Che cos’è metafisica?.

[7] Cfr. Leibniz, “Discorso di metafisica” in Saggi filosofici e lettere, Laterza, Bari, 1963.

[8] M. Heidegger, Essere e tempo, 1927.

[9] Importante la nozione di verità intesa, in Heidegger, come disvelamento (cfr. ἀλήθεια), sin da Essere e tempo.

[10] M. Heidegger, Che cos’è metafisica?, p. 116.

[11] Cfr. M. Heidegger, Che cos’è metafisica?.

[12] Cfr. M. Heidegger, Logica e linguaggio, 1934.

[13] A tal proposito, oltre a Che cos’è metafisica? si consideri anche l’indagine sul linguaggio in relazione alla logica proposta da Heidegger in Logica e linguaggio, testo generato a partire dal contenuto di un corso tenuto dal filosofo nel 1934 e nel quale viene data una interpretazione della logica del tutto nuova e diametralmente opposta a quella carnapiana: «Logica: non addestramento ad un migliore o peggiore procedere del pensiero, ma il misurare con i passi dell’interrogazione gli abissi dell’essere».

[14] Si ricordi che Ernst Cassirer partecipò assieme ad Heidegger al dibattito del 1929 a Davos sul tema della rilettura della filosofia kantiana.

[15] Martin Davis, Il calcolatore universale: da Leibniz a Touring, Adelphi, Milano 2003, (rist. 2012).

[16] Il saggio sembrerebbe databile tra il 1679 e il 1680.

[17] Cfr. M. Friedman, La filosofia al bivio, 2004.

[18] La frase è pronunciata da Heidegger nel 1943 durante un corso che aveva per argomento il cristianesimo ma è già riscontrabile nel primo dei cosiddetti Quaderni di lavoro, pubblicato nel 2013 e a partire dai quali si genera la polemica, tutt’oggi aperta, circa l’adesione consapevole o meno del filosofo alla logica antisemita.

 

Bibliografia di lavoro

Cassirer Ernst, Filosofia delle forme simboliche, La Nuova Italia, Firenze 1965.

Davis Martin, Il calcolatore universale, Adelphi, Milano 2012.

Friedman Michael, La filosofia al bivio. Carnap, Heidegger, Cassirer, Cortina Editore, Milano 2012.

Leibniz Gottfried Wilhelm, “Discorso di metafisica”, in Saggi filosofici e lettere, a cura di Domenico Omero Bianca, Laterza, Bari 1963.

Carnap Rudolf, “Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio”, in Il neoempirismo, a cura di Alberto Pasquinelli, UTET, Torino 1969.

Heidegger Martin, Che cos’è metafisica?, a cura di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2001.

Heidegger Martin, Logica e linguaggio, a cura di Franco Volpi,, Mariotti, Milano 2008.

 

 


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