La libertà negativa secondo Fromm
La libertà negativa secondo Fromm
Dic 21Erich Fromm ci invita a una riflessione profonda su un concetto chiave di tutta la filosofia (e non solo), intriso della storia del pensiero dell’uomo e del peso ineluttabile degli enigmi: la libertà. Nel noto saggio Fuga dalla libertà l’esigenza che preme l’autore è quella di investigare i meandri oscuri dell’ansia e della perenne infelicità sottesa all’animo dell’essere contemporaneo: per fare ciò è necessario sviscerare i meccanismi di crescita dell’Io e del suo inserimento nel contesto sociale. Quello dei nostri giorni è un assetto socio-economico che affonda le sue radici nell’individualismo e nel liberismo.
Con la diffusione dell’ideologia alla base delle dottrine luterane, e in misura minore calviniste, va a dissolversi l’impianto di certezze con le quali conviveva l’uomo medievale: questi infatti non godeva di libertà e non sentiva l’esigenza di porsi domande sul significato di sé e sul posto da occupare nel mondo. L’individuo, quale coscienza di un’entità distinta dal restante oggetto, non si era ancora formato e dunque non erano ancora comparse neanche tutte quelle tensioni emotive che lo caratterizzano. Con l’insegnamento di Lutero si compie una rivoluzione imprescindibile giacché essa pone il singolo innanzi al principio religioso e quindi lo rende scisso, diviso: non si danno mediazioni, ma solo lui e il suo dio. Inoltre in concomitanza con importanti sconvolgimenti storici, la vita diventa mezzo di fini estranei, quali la ricchezza e l’ascesa sociale. L’uomo è gettato, abbandonato a sé, un grumo di potenzialità da farsi, un destino legato allo sforzo personale di realizzazione. La percezione del Tempo muta, gli orologi segnano per la prima volta i quarti d’ora e un senso di irrequietezza si annida negli animi. Il mondo appare illimitato e al tempo stesso minaccioso: i meccanismi di mobilità sociale si espandono e le logiche di un mercato fondato sulla concorrenza rivestono l’iniziativa individuale di una importanza inaudita fino a quel tempo.
L’autore insiste a lungo sulla tesi secondo cui tutti gli elementi della società capitalistica moderna appaiano per la prima volta insieme a tali cambiamenti. Al di là di questa posizione, è indubbio che il XV e XVI secolo abbiano dotato l’uomo di una libertà nuova: Fromm si dedica con trasporto a ragionare proprio sulla connotazione negativa che essa ha assunto. La libertà infatti «spinta dalla logica del suo stesso dinamismo, minaccia di convertirsi nel suo opposto» (Fuga dalla liberà, trad. di C. Mannucci, Editore Mondadori, 1994, p. 272). È il senso di impotenza che opera una tale perversione della libertà, la nullità di sé inevitabilmente percepita da colui che ha la mera illusione di essere padrone del mondo, ma sperimenta invece di essere assoggettato a quel mondo stesso: «diventa un semplice ingranaggio dell’immensa macchina economica – importante se possiede molto capitale, irrilevante se non ne possiede affatto – ma pure sempre un ingranaggio volto ad un fine a lui esterno» (ibidem, p. 116), artista schiavo della sua stessa opera. L’uomo è libero ma schiavo della percezione che gli altri hanno di lui.
In un contesto in cui le leggi di mercato dominano ogni cosa il singolo è dilaniato dal dubbio, dalla frustrazione, spinto a umiliarsi continuamente se non soddisfa i criteri imposti e i rapporti tra gli individui si costruiscono sul cinismo, sulla volontà di strumentalizzazione, sull’apatia e sulla volgarizzazione e mortificazione delle emozioni. Queste ultime, dal momento in cui tale forma di libertà – che potremmo definire “passiva” – si espande e l’autorità non è più esterna ma interiorizzata e perciò più subdola e forte, vengono represse; ciò non significa che venga meno il bisogno di provare emozioni. Esse persistono perdendo tuttavia profondità, avvolte nella patina dell’apparenza. L’uomo moderno vive in un mondo con cui ha reciso ogni tipo di rapporto autentico, poiché privo della visione del tutto.
Di fronte a questo crogiolo di afflizioni inconsce si diramano due possibilità di fuga: la sottomissione all’autorità, secondo le tensioni sadiche e masochistiche, e il conformismo. Entrambe sono solo rifugi ingannevoli ed effimeri che producono un intenso malessere esistenziale e psichico: «la vittoria della libertà è possibile solo se la democrazia si trasforma in una società in cui l’individuo, il suo sviluppo e la sua felicità, siano il fine e l’obiettivo della civiltà […] e in cui l’individuo non sia subordinato ad un potere esterno» (ibidem, p. 272).
L’insostenibilità del proprio Io genera l’impulso a creare un rapporto simbiotico con qualcun altro, come quello guidato dalle tendenze irrazionali sadiche e masochistiche: in un legame di tale genere sia il sadico che il masochista necessitano l’uno dell’altro. Similmente su più ampio spettro, le masse aspirano ad essere dominate e ad identificarsi con un vasto gruppo. È anche sulla base di tali pulsioni che l’ideologia nazista ha potuto avere sopravvento, in quanto si rivelò capace di incanalare i suddetti bisogni e le pulsioni di distruttività inibite, determinando la totale abdicazione all’Io in nome di una forza superiore. «Le masse debbono rassegnarsi e sottomettersi, se la brama di potere del capo dell'”élite” deve realizzarsi. Ma il desiderio masochistico è riscontrabile anche nello stesso Hitler. Il potere superiore, a cui egli si sottomette è Dio, il Destino, la Necessità, la Storia, la Natura» (ibidem, p. 237).
L’altra via di fuga implica il sottostare all’autorità invisibile delle aspettative altrui, delle pressioni sociali, della definizione di “normalità”, sacrificando il rispetto per l’unicità che è la vera conquista dell’attività umana. Ecco il paradosso di un tempo in cui l’individualismo è diventato «una conchiglia vuota» (ibidem, p. 272).
In questo modo lo studioso si fa portavoce di un messaggio su cui non è possibile non meditare e concordare: per Fromm la libertà è diventata un peso abnorme da cui è possibile affrancarsi solo recuperando la fede nella realizzazione spontanea e attiva dell’uomo e la tutela della sua specificità, senza che ciò venga frainteso come minaccia all’uguaglianza.