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Gli atti sociali in Edith Stein (4)

Gli atti sociali in Edith Stein (4)

Gen 12

Articolo precedente: Gli atti sociali in Edith Stein (3)

 

Una ricerca sullo Stato

Tre sono le idee principali espresse da Edith Stein nella sua Ricerca sullo Stato:

  1. Vi è una differenza sostanziale fra popolo (Volk) e Stato (Staat). La distinzione tra i due sta nella possibilità del primo di sopravvivere e svilupparsi anche senza il secondo; allo stesso modo lo Stato può sussistere anche senza che vi sia al suo interno un’unità di popolo. Le finalità proprie di uno Stato dunque non consistono né nell’omogeneità culturale né tantomeno in quella etnica.
  2. Bisogna altresì distinguere lo Stato sia dalla comunità (Gemeinschaft) che dalla società (Gesellschaft), in quanto diversi sono i rispettivi scopi perseguiti. Ciò che caratterizza lo Stato rispetto ad ogni altro momento della vita associata è il suo carattere di sovranità, che consiste essenzialmente nel libero riconoscimento da parte dei cittadini. Tale riconoscimento è indispensabile alla sua sopravvivenza, e pertanto deve avvenire di continuo, non una tantum, come previsto dalle teorie contrattualistiche. Vi è dunque l’esigenza, pena la mancanza di stabilità politica, che lo Stato riconosca la libertà e i diritti dei cittadini, e ponga dei limiti all’esercizio stesso della propria sovranità.
  3. Prerogative della Stato in quanto sovrano sono l’autorità ed il potere di promulgare, interpretare e far rispettare le leggi, il cui fine è il bene comune. Se la legge di per sé è immutabile e valevole a prescindere dal tempo e dal luogo, le singole norme del diritto positivo cambiano a seconda dei singoli Stati, e anche all’interno del medesimo Stato possono mutare in base al diverso modo di conformarsi ai precetti della legge in quanto tale.

Da queste considerazioni di fondo nascono una serie di problematiche legate ai vari ambiti della giurisprudenza, dell’etica e della religione, problematiche affrontate sistematicamente dall’autrice, pur qualche difficoltà laddove la questione sembra sconfinare in settori più specialistici. Ciò che invece appare più interessante ai fini della presente trattazione è la presenza, all’interno del testo, di un intero capitolo dedicato al rapporto fra Stato e diritto, nel quale il confronto con Reinach diviene esplicito più che altrove per ammissione, fra l’altro, della stessa autrice, la quale dichiara in apertura che

la trattazione che seguirà è in gran parte solo una conseguenza delle sue analisi [1].

Nell’analizzare la struttura ontica dello Stato (tema che dà il titolo alla prima parte dell’opera), la Stein sente il bisogno di chiarire la distinzione tra diritto puro e diritto positivo, al fine di far luce sull’assunto di base secondo cui il carattere peculiare dello Stato risiede nella sovranità, cioè nella capacità di produrre da sé gli atti di diritto che lo costituiscono. Il diritto positivo sta a quello puro come la disposizione legale sta alla sua motivazione teorica; da ciò deriva l’esigenza di ritornare sulla sfera degli atti liberi e in particolare sugli atti sociali, richiamando l’indagine compiuta in Psicologia e scienze dello spirito. Una disposizione legale, mediante la quale un legislatore mette in atto una norma del diritto puro, è il prodotto di un atto libero, atto che tuttavia non è del tutto identico alle risoluzioni dei singoli individui:

La differenza nei confronti della semplice risoluzione consiste nella forma dell’effetto che questa volta è di natura sociale e inoltre (in contrasto con altri gruppi di atti sociali, come il chiedere, il comandare e così via) non tende direttamente alla condotta di una determinata persona, ma prescrive un modo possibile di comportamento in un gruppo sociale [2].

La domanda più urgente per la Stein è la seguente: in che senso è possibile parlare di personalità dello Stato, dal momento che questa appare la caratteristica peculiare di ogni soggetto di atti liberi? È ragionevole la concezione secondo cui lo Stato è una “persona collettiva”, capace di legiferare essendo così autore del suo diritto? La risposta dell’autrice è netta: Lo Stato può compiere atti, soltanto se questi sono compiuti in suo nome da persone che lo “rappresentano” [3]. Il concetto di rappresentanza, che è alla base delle odierne democrazie dotate di assemblee parlamentari, permette di non confondere lo Stato né con una singola persona (monarchia assoluta), né con un’unione di persone (comunità), né tantomeno con un’eventuale associazione di alcune persone che, stipulando un contratto (contrattualismo), rinuncerebbero a parte dei propri diritti naturali in vista della sua costituzione (sarebbe interessante seguire in maniera approfondita la concezione particolarmente originale della Stein riguardo al “diritto naturale”). Prima di tirare le conclusioni è opportuno seguire ancora un poco il discorso della Stein:

A completamento – anche per comprendere meglio tale questione – si richiede un esame degli altri possibili atti che rientrano nell’ambito della vita dello Stato. Riprendiamo, perciò, la distinzione proposta da Reinach fra disposizione e comando, alla quale abbiamo alluso precedentemente. Entrambi sono atti sociali, cioè sono diretti a persone estranee. Ma le disposizioni non fanno altro che stabilire ciò che deve valere come diritto per le persone, alle quali sono rivolte, senza voler sollecitare qualcuno in particolare a un comportamento effettivo. Un comando, al contrario, è indirizzato ogni volta a una determinata persona (o anche a un gruppo di persone) e la sua finalità è quella di indurre questa persona ad agire, allo stesso modo che un atto del volere ha lo scopo di produrre un’azione da parte della stessa persona che vuole [4].

L’analisi di Reinach degli atti sociali prendeva in considerazione appunto questo duplice aspetto, a seconda che lo si considerasse partendo dall’autore o dal destinatario dell’atto: ci sono atti compiuti da alcune persone in rappresentanza di altre, in questo caso dello Stato come “personalità giuridica”; in tal caso l’atto, pur essendo compiuto da uno o più esecutori, va attribuito a coloro che sono rappresentati, ossia all’intera comunità. Strettamente congiunta vi è la situazione, espressa anche nel passo appena citato, di una disposizione di legge distinta dal singolo comando, in quanto diretta contemporaneamente ad una pluralità di destinatari [5]. È da precisare però che

gli atti sociali del tipo del comando, attraverso i quali un soggetto viene in contatto immediatamente con gli altri, hanno nella vita dello Stato un posto non più limitato di quello occupato dalle disposizioni [6].

La vita dello Stato, infatti, consiste per lo più in disposizioni generali. Affermare che lo Stato è soggetto di diritto implica dunque il riconoscimento di una realtà sociale che sta alla base, e che è costituita dal riconoscimento degli organi rappresentativi come organi statali. Ciò che più conta per la Stein è però il fatto che gli atti possono essere compiuti solo da persone o da associazioni di persone [7]. Il passaggio che rende possibile attribuire determinati atti sociali all’azione dello Stato consiste appunto nella rappresentanza, ossia la possibilità degli individui di agire in modo personale, e al contempo nella qualità di organi dello Stato. Questa “ambivalenza dei tipi sociali” era stata oggetto di attenzione della Stein già in Psicologia e scienze dello spirito, laddove la sua analisi si era soffermata a considerare la capacità del singolo di agire sia in quanto soggetto indipendente che come membro di una comunità, spinto da motivazioni e in vista di fini propri della comunità, senza che il ruolo sociale negasse l’irriducibilità della persona.

Con la sua riflessione dello Stato, Edith Stein giunge ad individuare, all’interno della categoria degli atti sociali ripresa da Reinach, una sottocategoria costituita dagli atti statali; questi ultimi non sono essenzialmente identici ai primi data la loro generalità, ma si fondano comunque sul presupposto della relazione sociale, la quale a sua volta è fondata sulla possibilità della comprensione empatica tra gli individui, quindi in ultima istanza sul presupposto, irrinunciabile per ogni autentica Ontologia sociale, della libertà della persona umana e della sua apertura alla relazione intersoggettiva:

Non si può affermare perentoriamente che ogni atto, il quale è da rivendicarsi come atto dello Stato, dovrebbe essere di natura sociale. Non è necessario che una ordinanza, per esempio, sia rivolta ad alcune persone in particolare. Tuttavia appartiene all’essenza degli atti statali che anche quelli non possedenti tale caratteristica abbiano direttamente o indirettamente una certa efficacia sociale […] La sovranità come auto costituzione di un’entità comunitaria e la libertà della singola persona sono inseparabilmente connesse [8].

 

Note:

[1] Edith Stein, Una ricerca sullo Stato, p. 48, n. 19.
[2] Edith Stein, Una ricerca sullo Stato, p. 52.
[3] Edith Stein, Una ricerca sullo Stato, p. 55.
[4] Edith Stein, Una ricerca sullo Stato, pp. 58-59.
[5] Adolf Reinach, I fondamenti a priori del diritto civile, pp. 156-157.
[6] Edith Stein, Una ricerca sullo Stato, p. 59.
[7] Edith Stein, Una ricerca sullo Stato, p. 55.
[8] Edith Stein, Una ricerca sullo Stato, pp. 69-70.

 

Articolo iniziale: Gli atti sociali in Edith Stein (1)

 

 


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