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Filosofia della serialità. Intervista a Marta Boni

Filosofia della serialità. Intervista a Marta Boni

Gen 19

Oggi pubblichiamo una nuova intervista del nostro collaboratore Gioele Gambaro a Marta Boni, dottoressa in studi cinematografici e docente all’Università Jean Moulin – Lyon 3. Tra i suoi interessi di ricerca, i fenomeni transmediali e la costruzione di mondi immaginari. Ringraziamo Marta per essersi prestata all’intervista e Gioele per averla realizzata.

 

D: Gli studiosi sono concordi sul fatto che la serialità televisiva abbia raggiunto livelli di complessità molto elevati. Tu ritieni che sia giunta a creare veri e propri “mondi”. Puoi chiarirci meglio questo concetto?

R: Con la poetica della complessità televisiva che si sviluppa a partire dalla fine degli anni ’80 (pensiamo a un prodotto come Twin Peaks) e che vediamo nei recenti fenomeni Mad Men (AMC 2007-) o Il trono di spade (Game of Thrones, HBO 2011-), la serialità televisiva si conferma come una modalità narrativa capace di dare vita a racconti di ampio respiro, dilatati nel tempo e ricchissimi in dettagli. Una serie tv è un sistema complesso capace di gestire temporalità intrecciate, spazi e luoghi (spesso veri e propri mondi, come per Westeros de Il trono di spade) abitati da un grande numero di personaggi le cui psicologie si elaborano nel corso delle stagioni. Inoltre, da una decina di anni, le serie hanno cominciato ad avvalersi di estensioni su Internet e di social network, trasformandosi in esperienze che coinvolgono gli spettatori su vari supporti. Questa rete di adattamenti intermediali, da un lato, aiuta gli spettatori a farsi strada attraverso un numero ingente di informazioni e, dall’altro, fornisce nuovi spunti per l’immersione, magari attraverso episodi inediti concepiti in esclusiva per il web. Gli spettatori vivono così un’esperienza di saturazione, non solo sul piano dei contenuti, ma anche per quanto riguarda i supporti mediali. In questa situazione tipica del contesto tecnologico e culturale dei media in “convergenza”, gli spettatori hanno la possibilità di aggiungere materiale apocrifo (come si vede osservando i fenomeni di fandom – dalle enciclopedie contributive ai video parodici su YouTube o alle fan fiction, testi scritti da internauti che immaginano nuove situazioni e nuove relazioni per i loro personaggi preferiti) che a sua volta produce effetti di rimando nella sfera pubblica. È difficile racchiudere tale complessità nel concetto di testo o di opera, che indicano per definizione spazi finiti: il concetto di mondo è una soluzione capace di rendere conto di esperienze non riducibili né a una storia (i mondi invitano a pensare più in termini di “immersione” che di “racconto”) né a un solo medium. Pensare in termini di costruzione di mondi ci aiuta a concepire una trascendenza al di là della molteplicità, altrimenti rizomatica, dei dettagli che si sovrappongono nel tempo. È necessario osservare che non solo le serie tv ma ogni racconto, dalla letteratura al cinema passando per le altre arti, crea potenzialmente un mondo in cui il lettore può immergersi. Tuttavia, le serie, grazie alla loro temporalità estesa, sono mondi particolarmente saturi di azioni, oggetti, personaggi e luoghi. Esse non sono solo degli spazi sontuosamente “arredati”, come sosteneva Umberto Eco, ma diventano spazi flessibili. Esse possiedono, forse più dei film, una proprietà sistemica, cioè la capacità di tenere insieme un grande numero di elementi e di reagire, come un ecosistema, agli urti e agli impulsi provenienti dall’esterno.

D: Una bipartizione, di origine hegeliana e ripresa, fra gli altri, da György Lukács e Michail Bachtin, distingue fra epica e romanzo: la prima è unitaria, aperta, vasta, mentre il secondo è limitato, organico, scandito dalla sequenza inizio-mezzo-fine. Vorrei approfondire l’aspetto del carattere di epos dei serial. Quali sono, secondo te, i caratteri di questa “nuova epica”?

R: Il termine epica, o epos, è estremamente delicato, sia quando lo si usa come genere, sia quando si cerca di identificarne le radici in una “letteratura orale”, sia quando, come alcuni studiosi hanno tentato di fare, lo si considera come una tendenza trasversale nella produzione letteraria e audiovisiva. Per Bachtin, l’epica è un genere finito, conchiuso: essa è destinata a entrare in declino con l’apparizione del romanzo in prosa, centrato sul dissidio tra mondo interiore e mondo esterno, e capace di infrangere una “visione del mondo unitaria”. Il romanzo si propone come il genere del frammento (è il genere del tempo presente) : esso guadagna la propria organicità dall’estrazione dalla realtà di un momento preciso, mettendo in crisi la tendenza totalizzante dell’epica, allontanata in un “passato assoluto” [1]. L’epica non è caratterizzata dall’aristotelica sequenza inizio-mezzo-fine che invece il romanzo possiede necessariamente. I suoi confini sono arbitrari: la materia raccontata è già nota dall’uditorio, quindi può svincolarsi dalla causalità e aprirsi a innumerevoli integrazioni e trasformazioni. Con le riflessioni più recenti sulla modernità (penso soprattutto al lavoro di Franco Moretti) emerge una “resistenza dell’epica”: grazie alla polifonia e all’eterogeneità che mancano al romanzo, l’epica costruisce delle “opere mondo” che racchiudono tutta la complessità del sapere di una cultura [2]. Lungi dall’essere soltanto un genere, l’epica può essere intesa come una tendenza in mutazione costante che si mostra capace di adattarsi ai bisogni dell’oggi. La diffusione dell’aggettivo “epico” nell’uso “popolare” (i commenti dei fan su siti come l’IMDb [Internet Movie Database, N.d.R.]) testimonia della flessibilità del concetto e della sua vitalità (come affermano anche i critici che hanno coniato l’etichetta New Italian Epic per la letteratura) [3]. In un contesto in cui l’esperienza tradizionale delle trasmissioni televisive converge con consumo on-demand, narrazioni estese o multi-supporto e “cultura partecipativa” del web, mi sembra che il concetto di epica, sdoganato dalla sua etichetta di genere, possa essere usato per definire un “lavoro” messo in atto dai fan, caratterizzato da multi-autorialità e dalla circolazione della materia del racconto. Come per l’epica, siamo di fronte ad una circolazione del “già noto” in architetture dai confini in movimento continuo. Florence Goyet, studiosa di letterature comparate, descrive il “lavoro epico” come scontro tra due forze che, all’interno del testo, veicolano due visioni del mondo contrapposte. John Miles Foley sottolineava che il successo dell’epopea sta in una dimensione contestuale, secondo la nozione di “auralità” o di ascolto performativo [4]. Nella polifonia creata dall’insieme di frammenti, ufficiali e apocrifi, che si aggregano nell’architettura transmediale di una serie (estensioni, adattamenti, webisodi, paratesti e riscritture realizzate dai fan: fanfiction, parodie, omaggi di varia natura), ci sono gli elementi per parlare di un “lavoro epico”: il prodotto seriale, diventato mondo, è il luogo di scontri tra voci differenti, all’interno del testo e nel rapporto con un contesto. Osserviamo fenomeni di traduzione, anche a livello transnazionale, e di negoziazione del senso secondo contesti locali. La transmedialità dei mondi seriali, come l’epica, fa appello alle capacità di ascolto del pubblico e a una cultura comune. In una continua rielaborazione della materia finzionale (operazioni tassonomiche, analitiche, ma anche trasformazioni e imitazioni della materia originale), il fan mette ordine anche nei criteri logici e nei valori del proprio mondo, aggiornandolo continuamente. In tal modo, l’epica fornisce una risposta non solo sul mondo di finzione ma anche sul mondo reale.

D: Il filosofo Michel Foucault parlava di eterotopie, spazi che riflettono, invertendone i rapporti, altri spazi, di modo che in essi si possono ritrovare, come in uno specchio, le strutture simboliche. Ritieni che la serialità televisiva stia fungendo questa funzione? E in che maniera?

R: Le eterotopie sono spazi che si articolano allo spazio del reale e della contemporaneità, creando delle possibilità: sono luoghi reali e virtuali allo stesso tempo. È abbastanza comprensibile che il concetto di eterotopia sia facilmente applicabile a prodotti di finzione di qualsiasi tipo: il lettore si immerge in uno spazio altro, vivendo per procura situazioni e azioni immaginarie. Le serie tv creano geografie che si sovrappongono, in filigrana, alle geografie reali: esse danno vita a nuovi mondi, trasformando le regole fisiche della nostra quotidianità, svelando mondi paralleli o ipotizzando mondi possibili, proponendo così visioni alternative che potranno essere usate per interpretare l’oggi. Ogni esperienza audiovisiva va concepita “in situazione”: al momento della produzione come al momento della ricezione, essa è legata alle caratteristiche culturali e sociali e al vissuto di individui. L’eterotopia è uno spazio distante, ma allo stesso tempo molto simile a quello della cultura che lo ha originato: per questa ragione non può essere pensato in termini assoluti, trascendenti o globali, ma sempre in modo locale. Pensare una serie come eterotopia vuol dire interpretarla come spazio in cui la società pensa i propri confini ed elabora la propria identità.

 

Note

[1] Michail Bachtin, Epos e romanzo. Sulla metodologia dello studio del romanzo, in György Lukács, Michail Bachtin e altri, Problemi di teoria del romanzo, Torino, Einaudi, 1976, p. 181 e sgg.

[2] Franco Moretti, Opere Mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine, Torino, Einaudi, 1994.

[3] Wu Ming, “Premessa alla versione 2.0 di New Italian Epic”, Carmillaonline, Aprile 2003, url: http://www.carmillaonline.com/archives/2008/04/002612.html#002612.

[4] John Miles Foley, Immanent Art: From Structure To Meaning In Traditional Oral Epic, Bloomington, Indiana University Press, 1991.

 
Marta Boni, Ph.D in Studi cinematografici, Università Sorbonne Nouvelle-Paris 3, è docente a contratto all’Università Jean Moulin – Lyon 3. Specialista di teorie del cinema, della televisione e studi di audience, si interessa più particolarmente di fenomeni transmediali e costruzione di mondi immaginari (si è occupata dell’organizzazione della conferenza internazionale Practices of World building. Fans, Industries, Media Fields, Università Concordia, Montreal, giugno 2013). Marta ha pubblicato capitoli di libri, articoli in varie riviste scientifiche internazionali e ha co-diretto Networking Images. Approches interdisciplinaires des images en réseau (Presses de la Sorbonne Nouvelle, 2013). Il suo primo libro, Romanzo Criminale. Transmedia and Beyond è disponibile in una versione open access delle Edizioni Ca’ Foscari (coll. Innesti/Crossroads, 2013) all’url: http://edizionicf.unive.it/index.php/Inn/article/view/250.

 

 


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