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Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (7)

Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (7)

Mar 17

 

 

Articolo precedente: Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (6)

 

Byung-Chul Han: un deleuziano?

Non c’è bisogno di argomentare ulteriormente il fatto che Byung-Chul Han pensi a partire da Foucault, in quanto quello che ho scritto precedentemente contiene numerosissimi indizi in tal senso: basti pensare semplicemente al fatto che la psicopolitica il filosofo la pensa a partire dal discorso di Foucault sulla biopolitica. Meno evidenti potrebbero essere i suoi aspetti deleuziani, in particolare perché non cita mai Deleuze, salvo nell’ultimo capitolo di Psychopolitik [35]: Idiotismus. L’idiotismo però è solo uno dei tanti caratteri deleuziani che si possono trovare in Byung-Chul Han; ve ne sono altri che forse si notano di meno e che certamente sono anche in parte caratteristiche che accomunano Foucault e Deleuze. In primo luogo è interessante la critica al soggetto come costruzione politica; questa critica passa attraverso una concezione del soggetto come quantificato o smembrato in data. Anche se ogni cosa che concerne i data dopo tutto deve avere un corrispettivo nella realtà, quindi un grado di verità, nella misura in cui quello è il mio vero nome, quello è mio luogo di nascita e quello sono io, a ben vedere il nome è solo una convenzione, il mio carattere cambia ed in ogni caso per questi e altri motivi non coincido mai con ciò con cui di fatto vengo identificato da parte del potere. A questo punto tutto il problema sta nel fatto che io decido di aderire a quella identità costruita. Se il potere cerca l’omologazione degli individui, in quanto grazie a questo riesce a prevedere le loro azioni ‒ ed è a questo che serve il data maining: determinare quali saranno le azioni delle persone a partire dalle informazioni che si hanno su di esse, quindi a partire dai data ‒, allora la cosa più rivoluzionaria che si può fare è essere se stessi. Questo essere se stessi vuol dire essere davvero originali ed essere per ciò completamente imprevedibili. Ad esempio Byung-Chul Han, per criticare la statistica, ma anche il dataismo, cita un’affermazione di Nietzsche in cui si argomenta che sostanzialmente si può fare statistica solo con delle masse omologate, in quanto queste, avendo abitudini particolari, sono facilmente prevedibili, soprattutto poi, aggiungo io, se il modello omologante è proprio quello stabilito dal potere. È, invece, completamente impossibile fare statistica con gli artisti, ovvero con delle persone assolutamente stravaganti e originali che non esibiscono nessuna ricorrenza o legge nelle loro azioni. Il discorso sul soggetto come qualcosa di costruito dal potere comincia sicuramente con Althusser [36], il quale però intendeva il soggetto ancora in termini strutturalisti, mentre Foucault e il secondo Deleuze intendono destituire il soggetto con una mossa molto post-strutturalista. Deleuze, ad esempio nell’Anti-Edipo, parla spesso di una psicoanalisi che vorrebbe sempre riportare all’unità dell’Io, così come in politica c’è sempre un bisogno di identificazione. Il soggetto politico di Deleuze è molteplicità che non rimanda a degli Io. Certamente essa è molto simile al concetto di moltitudine di Micheal Hardt e Antonio Negri, concetto che Han non condivide assolutamente in quanto considera le moltitudini inefficaci [37]. Tuttavia Han ha in comune con Deleuze tutto il discorso sulla micro-politica. Ha senso parlare di micro-politica in Han perché il problema in primo luogo è interno all’uomo e questo problema si chiama: autosfruttamento, perché non ha più senso riferirsi solamente ai grandi poteri istituzionali, ma le forme di controllo non sono altro che quel mondo digitale orizzontale in cui noi stessi ci prostituiamo sotto forma di data, perché il problema è sempre più qualcosa di interno a noi stessi, perché ognuno di noi è ‒ per dirla con le sue parole ‒ il Panottico di se stesso. Ecco perché parlo di micro-politica. In Deleuze la micro-politica era riferita al fatto che il desiderio può essere fascista, quindi desiderare lui stesso la sua stessa servitù, oppure essere rivoluzionario, quindi creare quella fuga, quella deterritorializzazione che avrebbe costruito lo spazio liscio. Almeno il primo senso del desiderio, o quello che poi era uno dei pericoli stando alla visione di Deleuze, è applicabile a Byung-Chul Han, in particolare quando cita l’affermazione di Jenny Holzer: “Protect me from what I want” (proteggimi da quello che voglio). Invece di parlare di volere si potrebbe parlare di desiderio, dal momento che Han afferma che il nuovo grande fratello è permissivo, giacché si basa sul “mi piace” (I like), ma questa è la trappola per il desiderio: a suon di “mi piace” il desiderio accetta la sua servitù.

Il personaggio più rivoluzionario ‒ qui si riconosce una delle poche componenti costruttive di Han ‒ è l’idiota di Deleuze, colui che non sa quello che tutti sanno o che pretendono di sapere. L’idiota è senza nome, quindi anonimo, ma a differenza degli altri non si lascerebbe mai sostituire con nessuno. L’idiota non è un soggetto, è l’unica negatività, è la figura dell’immanenza assoluta, della Matrix della de-psicologizzazione.

 

Note

[35] Quest’opera, a cui faccio costantemente riferimento, non ha ancora avuto la fortuna di essere tradotta in italiano: al momento è disponibile soltanto, per quel che ne so, nell’originale tedesco ed in traduzione spagnola.

[36] Althusser, famoso filosofo strutturalista e marxista francese, è stato uno dei primi ad accorgersi della relazione tra il concetto di plusvalore in Marx e l’eccedenza di significante sul significato nello strutturalismo. Qui lo cito perché è nel novero di quei filosofi che ‒ si potrebbe dire in conformità con quanto afferma Marx ‒ sostengono che il soggetto sia costruito dallo stesso potere attraverso un meccanismo di interpellanza da parte del potere (il grande Altro). Questo meccanismo fa sì che il soggetto come agente libero si assoggetti al potere identificandosi con l’individuo costituito dall’ideologia.

[37] In Byung-Chul Han c’è una specifica tematizzazione di quello che definisce Smarth Macht (potere debole). Nello smarth Macht l’autore comprende gli smarth mobs, tra i quali figura il flash mob. Questa moltitudine può davvero poco contro il potere: in realtà si tratta solo di uno sciame di persone che, essendosi rapidamente organizzato su internet per una protesta improvvisata, con la stessa velocità diventa una espressione critica conclusa, durata giusto il tempo utile per poter postare il video su youtube.

 

Articolo conclusivo: Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (8)

 

 


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