Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (3)
Byung-Chul Han: interprete dei nostri tempi (3)
Mar 03
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Narrativo versus additivo (l’ermeneutica in Byung-Chul Han)
I temi della narrazione e dell’additività non sono completamente nuovi; forse sono un po’ nuovi i modi in cui Han li intende, tuttavia essi compaiono già, ad esempio, nella trattazione di Lyotard [9] in La condizione postmoderna. In quest’opera, infatti, Lyotard distingue due forme di sapere: il primo è un sapere tradizionale, definito come narrativo; il secondo è il sapere scientifico, definito come additivo. Il sapere narrativo ha come oggetto le storie, si basa cioè sul racconto. Esso non ha di per sé un fondamento come lo s’intende in senso stretto ed è un sapere che si trasmette in primo luogo per via orale, in quanto la storia viene raccontata. A questa forma di sapere Lyotard contrappone un sapere cumulativo, quindi additivo, come quello scientifico, il quale, a differenza del precedente, è basato sulla prova e sull’argomentazione. Sebbene il tema della caduta dei racconti di Lyotard possa essere forse accostato al discorso di Byung-Chul Han sulla fine della narrazione, da parte sua Lyotard ha sempre mostrato che la differenza tra queste due forme di sapere è molto relativa, nel senso che, in primo luogo, il sapere additivo non è sempre cumulativo [10] e, in secondo luogo, questo sapere implica sempre delle narrazioni quando si trova a dover giustificare i suoi metodi [11]. Ci si può porre il problema se Byung-Chul Han intenda le stesse cose con questi termini e per questo conviene spiegare cosa intenda realmente il coreano, per poi riconnetterci a quanto detto finora. Byung-Chul Han ha un singolare e complesso concetto di verità: la verità secondo lui non si da mai nella rivelazione immediata di qualcosa come nudo fatto, essa invece è il risultato di una tensione narrativa che corrisponde ad una decifrazione di un oggetto, in quanto l’oggetto è in primo luogo velato. In pratica invece di argomentare che esiste una cosa in sé di cui non si può dare conoscenza e di cui noi conosceremmo solo il fenomeno, cerca di argomentare che proprio grazie al fatto che la realtà è velata, o comunque l’oggetto è velato, si può dare un sapere. L’ermeneutica, per come la intendevano Gadamer o Heidegger poteva consistere in un infinito svelamento dell’oggetto, dal momento che non c’è un fatto che si dia in sé, ma solo interpretazioni di esso [12]. Sicuramente Byung-Chul Han si rifà molto ad Heidegger, a cui ha dedicato anche un libro (Heideggers Herz. Zum Begriff der Stimmung bei Martin Heidegger), oltre alla sua tesi di dottorato. L’autore infatti intende argomentare che non c’è verità se non c’è interpretazione o decifrazione; rimanda ancora a Benjamin per spiegare come la verità non si opponga al velato. L’additivo in Byung-Chul Han sembra avere un senso scientifico, nello specifico matematico, perché sarebbe parte prima della biopolitica e poi della psicopolitica: della prima per quanto riguarda la statistica sulla popolazione, quindi la demografia, e della seconda per quel che riguarda il data maining. L’additivo è numerico e puramente positivo: n+1. La memoria del computer per Han è additiva, come sono additive le foto digitali, gli amici su Facebook, nonché i data in senso stretto. Il narrativo non è puramente matematico ed implica il negativo in sé; questo negativo sembra inteso dal filosofo quasi in senso hegeliano [13]. La narrazione si ha quando si danno a loro volta la decifrazione, il velato e il nascosto. Ecco che si spiega uno dei temi ricorrenti in Società della trasparenza, quello della differenza tra l’eros e il porno. Quando qualcosa si dà come fatto nudo, o comunque nella sua totale nudità, è porno, ma non ha nulla di erotico. Erotico, al contrario, ci dice lo stesso Han, è per esempio il polso di una mano scoperto tra un guanto e la manica di una giacca; questo poter intravedere senza avere mai l’oggetto integrale rende le cose erotiche. Il fatto che in questa società sia prevalente l’additività, o di fatto sia l’unica strada praticata, significa, secondo Byung-Chul Han, che siamo in un’epoca post-ermeneutica. Questo vuol dire anche che il nostro mondo non ha più nulla a che vedere con la verità, perché, come vedremo meglio più avanti, l’informazione non ha nulla a che vedere con la verità in quanto nudo fatto; inoltre quello che viene chiamato dal filosofo “dataismo” non ha nulla a che vedere con una teoria, tanto meno con qualcosa che possa anche solo lontanamente essere definito conoscenza. Rimane una cosa non chiara: se Han voglia un ritorno al narrativo. Questo è un passaggio difficile perché nelle opere di Han manca quasi completamente la parte costruttiva, il delineare nuove soluzioni, mentre i suoi scritti si concentrano quasi esclusivamente sulla critica della società attuale.
Note
[9] Lyotard è uno dei massimi pensatori del postmodernismo. Qui viene citato da parte mia non solo perché, come si vedrà, anche in lui sono presenti i concetti di additivo e narrativo, ma anche in quanto questo autore si ricollega all’argomentazione di Vattimo. Il crollo del pensiero totalizzante da cui parte Vattimo è individuato da Lyotard nella caduta delle grandi narrazioni. La condizione postmoderna cerca di studiare il sapere in età postmoderna, sapere che si è informatizzato, che non è più racconto e quindi narrativo, ma additivo e giudicato sulla base della sua efficacia.
[10] Se il sapere scientifico fosse pura somma di asserzioni valide, a questo punto non ci sarebbe mai una svolta in tale sapere e sopratutto nulla verrebbe mai messo in discussione di ciò che precedentemente è già stato assodato.
[11] Non basta dire che qualcosa è vero perché lo dimostra un esperimento o perché i calcoli funzionano: prima di tutto ci sono dei criteri che vanno valutati sulla base dei quali si considera corretto un calcolo o valido un esperimento.
[12] Un soggetto è per un oggetto e l’oggetto per un soggetto, di modo che la conoscenza consiste in quel circolo infinito di continuo passaggio da oggetto a soggetto che si rimandano a vicenda. Il soggetto, in questo caso, non è pensato come tabula rasa, ma come dotato di pregiudizi o comunque di una tradizione metafisica di cui non può fare a meno, poiché il soggetto solo a partire da questa tradizione o da questi pregiudizi conosce l’oggetto tramite interpretazione. Siccome l’oggetto modifica, nell’incontro con il soggetto, anche il soggetto stesso, il circolo dell’interpretazione continua senza sosta.
[13] Cioè come contrapposizione o antitesi. Questa antitesi non è per Hegel solo un limite negativo ma un opposto a partire dal quale si può costruire una dialettica. Così pare che sia anche in Han, nel senso che l’ermeneutica narrativa di qualcosa si dà in quanto il velo è il limite negativo a partire dal quale si costituisce il lavoro di interpretazione.
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