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Antropologia e antropomorfismo nella “Essenza della religione” di Ludwig Feuerbach

Antropologia e antropomorfismo nella “Essenza della religione” di Ludwig Feuerbach

Lug 09

 

 

Durante un colloquio con il compositore Robert Von Hornstein, Schopenhauer ebbe occasione di soffermarsi brevemente sull’opera di Ludwig Feuerbach – esponente della sinistra hegeliana, già noto ai tempi come critico del pensiero religioso – affermando che:

La sua “Essenza del cristianesimo” ha molti passi buoni, solo è falsa la sua affermazione: teologia è antropologia. No: teologia è antropomorfismo. Quindi è giusta l’affermazione di Helvetius o Diderot, accettata da Feuerbach: «L’homme crée Dieu à son image». [1]

Feuerbach risulterebbe perciò colpevole di non operare la riduzione del discorso su Dio a una mera proiezione di attributi umani in un ente trascendente, nonostante riconosca come fondamentale la presenza di questa operazione. Il ‘di più’ che egli fa emergere nella costruzione dell’entità divina richiamerebbe infatti all’essere umano in quanto tale, alla sua costituzione essenziale che si esprime – seppur in maniera alienata – nel fenomeno religioso in genere.

Il fondamento teoretico di questa tesi viene rinvenuto da Louis Althusser nella feuerbachiana ‘teoria dell’orizzonte assoluto, o teoria dell’oggetto come essenza del soggetto’, alla base dell’identificazione della religione con «l’essenza dell’uomo, cioè l’oggettivazione della sua essenza, e quindi il suo oggetto proprio» [2]. A prima vista, però, ciò non fuga completamente il sospetto che si tratti in ogni caso di mero antropomorfismo, in quanto:

Questa tesi di Feuerbach non è oggetto di una dimostrazione, ma di una semplice dichiarazione. O meglio, la dimostrazione feuerbachiana di questa equazione [oggetto essenziale di un soggetto = essenza oggettivata di questo soggetto, dunque religione = essenza dell’uomo] è fornita dall’illustrazione, ripetuta indefinitamente ne “L’essenza del cristianesimo”, del rapporto speculare predicati di Dio-predicati dell’uomo; la forza della sua pseudodimostrazione consiste in questa sola e unica ripetizione, resa inevitabile dalla struttura speculare dei concetti fondamentali della sua teoria. [3]

Per cercare di chiarire la questione, si può prendere in esame L’essenza della religione, testo del 1846 deputato ad un’analisi che si estenda oltre il territorio del cristianesimo. Opera apparentemente limpida, si rivela più tortuosa ad uno sguardo più teso in profondità, in quanto al ribadire la posizione fondamentale dell’uomo all’interno della religione, fa da contraltare l’introduzione della centralità del concetto di natura, soprattutto al fine di identificare tratti comuni e non-comuni a politeismo e monoteismo. La natura, con il senso di dipendenza che suscita nell’uomo, induce quest’ultimo alla creazione del divino sulla base del portato di utilità, di beneficio e di meraviglia proprio di certi oggetti, i quali così si ‘animano’, come abitati da un ‘magico’ essere simil-umano. L’oggetto-natura così considerato, però, «non lo è come natura [ma come] oggetto per l’uomo come ciò che egli stesso è» [4], a sostegno della tesi fondamentale per cui il rapporto uomo-dio è sempre il rapporto dell’uomo con se stesso.

Tuttavia, emerge anche la distinzione tra livelli diversi su cui il rapporto si costruisce, cioè tra quello propriamente naturalistico – dell’uomo non civilizzato che proietta se stesso negli oggetti naturali – e quello teologico, o antropologico, a cui corrisponde la venerazione dell’essenza umana al di fuori dell’uomo [5], dunque alienazione che progressivamente si arricchisce di complesse dinamiche psicologiche. L’uomo in quanto essere soprattutto e primariamente ‘desiderante’, al mutare della propria coscienza trasforma le proprie prerogative e quindi la modalità con cui esse si esprimono e si fanno visibili nella religione. Si veda, ad esempio, la descrizione che Feuerbach fa della trasformazione della personalità divina e dell’aldilà in relazione ai tentativi del fedele di renderli soddisfacenti rispetto alla tipologia del proprio desiderare, e di come ciò comporti tentativi di appianarne le contraddizioni emergenti in relazione a quanto è proprio della vita presente [6].

In questo modo Feuerbach intende sottolineare come l’essenza della religione appaia chiaramente non nel basilare, semplice e primitivo antropomorfismo, ma a mano a mano che esso evolve e si trasfigura per adempiere al meglio alle sempre più complesse e ambiziose ‘mire’ dell’uomo, che affina, accresce e svela i suoi bisogni attraverso Dio.

 

Note

[1] Arthur Schopenhauer, Colloqui, a cura di A. Verrecchia, Milano, BUR, 2010, pp. 156-157.

[2] Louis Althusser, Su Feuerbach. In appendice: su Lévi Strauss, a cura di M. Vanzulli, Milano, Mimesis, 2003, p. 44.

[3] Ibidem.

[4] Ludwig A. Feuerbach, L’essenza della religione, a cura di A. Marietti Solmi, Milano, SE, 2010, p. 37.

[5] Ivi, p. 38.

[6] Ivi, pp. 88-90.

 

Bibliografia

ALTHUSSER Louis, Su Feuerbach. In appendice: su Lévi Strauss, a cura di M. Vanzulli, Milano, Mimesis, 2003.

FEUERBACH Ludwig A., L’essenza della religione, a cura di A. Marietti Solmi, Milano, SE, 2010.

SCHOPENHAUER Arthur, Colloqui, a cura di A. Verrecchia, Milano, BUR, 2010.

 

 


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