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Unità e semplicità nella percezione visiva

Unità e semplicità nella percezione visiva

Ago 07

 
Oggi pubblichiamo il primo articolo di Elisabetta Rizzo, laureata in Filosofia all’Università di Bologna. Elisabetta inizia la sua collaborazione con Filosofia Blog proponendo un articolo sulla unità e semplicità della percezione visiva in Arnheim. Ringraziandola per il contributo, le diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.
 

L’attenzione riservata da Rudolf Arnheim all’atto percettivo fa capo alla propria formazione, maturata entro quella psicologia della Gestalt nata in Germania agli inizi del secolo scorso e promotrice di nuove ricerche in campo conoscitivo, volte alla rivalutazione del concetto di percezione. Quest’ultima si esplicherebbe nel ruolo di intendere la realtà non come insieme destrutturato di elementi fra essi slegati, ma come totalità.
In Arte e percezione visiva, Arnheim analizza tutti quelli aspetti compositivi di un quadro che rendono possibile la percezione del contenuto artistico. Ciò che emerge con chiarezza in questo testo è l’importanza che in un’esperienza artistica ricopre la percezione, in quanto è con essa che l’immagine del quadro appare immediatamente unitaria.

Così come avviene per la percezione in generale nell’ambito della Gestalt, anche la percezione visiva per Arnheim si configura come atto conoscitivo attivo, in grado di guardare allo schema formale di un contenuto artistico, perché:

la visione non è soltanto una registrazione meccanica di elementi, ma l’afferrare strutture significative. [1]

Non a caso, il potere espressivo proprio dell’arte si attua appieno in sede percettiva, quando, in un colpo d’occhio, colore, luce, prospettiva, sfondo, movimento ecc. si lasciano cogliere come un unico dato, in cui non è possibile operare alcuna discriminazione. L’uomo non ha bisogno, di conseguenza, di fissare tutte le caratteristiche di ciò che vede, perché gli bastano solo le informazioni più importanti per rintracciare il referente reale di una rappresentazione artistica.

Per la percezione e il pensiero umano la somiglianza non è basata su un’identità scrupolosa, ma sulla corrispondenza delle caratteristiche strutturali sostanziali. [2]

Con questa considerazione Arnheim evidenzia la libertà di cui gode l’artista, perché la validità del suo operato non dipende affatto dal grado di fedeltà mostrato verso la realtà, ma da quanto in essa ha saputo cogliere in termini essenziali; la rappresentazione viene percepita ugualmente, anche quando è lontana dall’essere ricca di particolari illuminanti. Certamente si potrà controbattere che in alcune opere ci si trova di fronte a semplici linee o macchie di colore che non sembrano rimandare ad altro, ma, come afferma Arnheim, quanto più l’espressione avviene attraverso elementi semplici, tanto più si punta a una forma universale, in cui la percezione può vedere il fondamento di ogni altra figura.

Un esempio molto consono a questa concezione circa semplicità e percezione nello studio di Arnheim, può essere offerto da un’opera di Kasimir Malevic, il Quadrato nero. Essendo portati a percepire le figure semplici in natura come elementi costanti, nel quadrato percepito nel dipinto non si riconosce un oggetto particolare, ma il “vero” contenuto della realtà. È automatico qui il richiamo al termine tedesco Wahrnehmung (percezione), che indica l’azione di prendere il vero, inteso come struttura fondamentale delle cose. Il quadrato non è altro che il primo passo della costruzione di figure più complesse.

Un altro passaggio significativo per comprendere quanto la percezione sia importante ai fini di una fruizione artistica, è offerto dalla rappresentazione del movimento. In un dipinto è impossibile rendere il movimento secondo le leggi che normalmente regolano la percezione del tempo. Il prima, l’ora e il dopo devono essere resi necessariamente in termini spaziali:

L’ordine di un dipinto esiste solo nello spazio, nella simultaneità. Il dipinto contiene uno o parecchi temi dominanti ai quali tutto il resto è subordinato; tale ordinamento gerarchico è valido e comprensibile soltanto quando tutti i rapporti che esso comprende sono afferrati come coesistenti. [3]

È ciò che accade in un’opera di Marcel Duchamp, Nudo che scende le scale n.2. In questo dipinto la percezione del movimento dà senso a un titolo ambiguo, ma dal significato profondo. L’immagine non rappresenta una donna nuda, come si ci aspetterebbe, ma mostra un corpo molto simile a una macchina che viene ripetuto più volte creando l’effetto movimento. In effetti non si potrebbe di certo dire che questo movimento sia eseguito da qualcuno in particolare, perché la macchina è totalmente impersonale e per niente arricchita da particolari che rimandano al mondo della natura. La percezione vede il movimento, perché rileva le ripetizioni della macchina come se fossero fasi funzionali l’una all’altra, significanti solo se lette all’unisono. Grazie al carattere essenziale di questo dipinto e all’anonimato del soggetto, il movimento si fa strada nella sua purezza e si presenta, agli occhi di chi percepisce, assolutamente “nudo”.

Negli studi di Arnheim, quindi, c’è un recupero del concetto di percezione visiva che arricchisce gli studi sull’arte, esaltando elementi come la semplicità e il principio di unità. La semplicità viene intesa come ciò che favorisce un modo più universale di fare arte a partire dalla percezione delle forme date in natura. Il principio di un’unità, dal canto suo, sempre congiuntamente al lavoro della percezione, offre la possibilità di vedere nello spazio statico di un quadro lo scandire del tempo.

Potrebbe sorgere con molta facilità la domanda sul perché Arnheim trovi necessario interrogarsi sulla percezione di un quadro, quando si ha a disposizione lo sterminato campo della realtà. La percezione delle forme artistiche funge da perfetta rappresentazione di come l’uomo rivolga il proprio sguardo al mondo; è una modalità conoscitiva, quella umana, che non prevede la volontà di copiare ciò che la realtà offre, ma di assumerla in modo creativo fin dalla percezione.

 

Note

[1] R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano 2012, p. 27.
[2] Ivi, p. 124.
[3] Ivi, p. 306.

 

Bibliografia

  • R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano 2012.
  • J. Clair, Marcel Duchamp il grande illusionista, Abscondita, Milano 2003.
  • M. Kazimir, Suprematismo, Abscondita, Milano 2000.
  • E. Panofsky, La prospettiva come «forma simbolica», Abscondita, Milano 2007.
  • O. Paz, Apparenza nuda, Abscondita, Milano 1976.

 

 


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2 comments

  1. Davide

    Complimenti. Articolo sintetico e chiaro.Per me è interessante applicare gli stessi principi alla fotografia…

  2. Elisabetta

    Grazie, mi fa piacere che l’articolo sia stato chiaro. Per quanto riguarda il tuo riferimento alla fotografia, sono d’accordo con te. Ma se ci riferiamo al pensiero di Arnheim, allora è giusto specificare che egli non vedeva nella fotografia quelle potenzialità caratteristiche della pittura e della scultura. Fortunatamente nessuno ci obbliga a utilizzare i principi di un pensatore solo entro gli ambiti che ci ha indicato e secondo una modaltà rigida e fissa. Anche la fotografia, grazie ad espedienti cui l’artista ricorre, può trasemttere il senso del movimento a partire da un determinato ordine spaziale degli elementi compositivi. Del Nudo che scende le scale puoi trovare anche una “copia” fotografica, in cui il soggetto è lo stesso Duchamp. Sicuramente in essa è più riconoscibile il contenuto oggettuale, ma ciò non toglie che la percezione del movimento arrivi in tutta la sua forza. Tutto dipende sempre da quello che l’artista vuole trasmettere e da come gestisce i mezzi impiegati nella realizzazione della propria opera.

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