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Sentimenti reali, personaggi fittizi: Amleto ed Ecuba

Sentimenti reali, personaggi fittizi: Amleto ed Ecuba

Giu 17

 

Filosofia dell’arte

Oggi pubblichiamo il primo articolo di Davide Quattrocchi, dottorando di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova. Davide inizia la sua collaborazione con Filosofia Blog occupandosi di Filosofia dell’arte. Ringraziandolo per il contributo, gli diamo il benvenuto tra i collaboratori del blog.

Il contesto è famosissimo, ma vale la pena di ricordarlo. Amleto, atto II, scena II. Rosencrantz e Guilderstein hanno invitato ad Elsinore alcuni attori per svagare il malinconico Amleto. Il capo-comico, dietro diretto suggerimento del principe, improvvisa un brano in cui Ecuba piange la morte di Priamo e dei suoi cari, avvenuta con la violenta presa di Troia da parte degli Achei. L’attore (ricordiamo che nel teatro elisabettiano anche le parti femminili erano recitate da uomini) è così immedesimato nella parte da versare calde lacrime di dolore. Amleto è colpito dalla scena. Attore anche lui (finge di essere folle e di non conoscere l’efferato omicidio dello zio, rivelatogli dallo spettro del padre), si trova obbligato a svalutare la propria interpretazione rispetto a quella del capo-comico. Vorrebbe vendicare il padre, ma ancora non può; vorrebbe denunciare la madre, ma è frenato dalla mancanza di prove. In pratica, il sentimento fittizio del capo comico sembra più reale del sentimento reale di Amleto, obbligato dagli eventi a nascondere ciò che prova. Il principe, dilaniato da questa improvvisa scoperta, la sfoga nel seguente, conosciutissimo, monologo:


O, what a rogue and peasant slave am I!
Is it not monstrous that this player here,
But in a fiction, in a dream of passion,
Could force his soul so to his whole conceit
That from her working all his visage waned
Tears in his eyes, distraction in’s aspect,
A broken voice, and his whole function suiting
With forms to his conceit? And all for nothing!
For Hecuba!
What’s Hecuba to him, or he to Hecuba,
That he should weep for her?
What would he do
Had he the motive and the cue for passion
That I have? He would drown the stage with tears
And cleave the general ear with horrid speech,
Make mad the guilty and appal the free.

Su questo passo sono stati versati fiumi di inchiostro, anche da parte di importanti filosofi: uno su tutti Carl Schmitt. Non mi interessa, però, né ripercorrere la interpretazioni filosofiche, né darvi la traduzione italiana. All’interno del monologo, infatti, c’è una parolina in inglese che dovrebbe far drizzare le orecchie a qualunque filosofo analitico. La parola è ‘fiction’. Amleto ci dice che la ‘fiction’ è solo ‘a dream of passion’ (e, dunque, sogno, non realtà) e che, più precisamente, è ‘nothing’. Eppure questo ‘nulla’ fa piangere l’attore e lo porta a sintonizzare il comportamento esteriore con l’immaginazione interiore. Eccoci arrivati al problema che intendo presentarvi:come è possibile piangere, patire, commuoversi per un ‘nulla’: come è possibile scambiare un ‘dream of passion’ per una passione reale? Come è possibile che la ‘fiction’, la finzione, ci porti a provare sentimenti reali?

L’attore, voi mi direte, non prova nessun sentimento, sta recitando. Su questo punto possiamo concordare. Tuttavia, l’intero monologo di Amleto sta cercando di virare dalla domanda sull’attore a quella sul pubblico. Lo si vede bene nel finale della citazione che vi ho proposto e, più in generale, nel seguito della tragedia, in cui Amleto userà un’opera finzionale (la famosa Mousetrap poi ripresa da A. Christie) per muovere i sentimenti reali di Claudio, portandolo a tradire il proprio segreto. Da questa prospettiva è possibile riformulare il quesito di Amleto: Che cos’è Ecuba per noi, o noi per Ecuba, da farci tanto piangere per lei?.

Abbiamo visto che la risposta del principe di Elsinore (o di Shakespeare?) è: ‘nulla’! Meinong potrebbe essere felice a una risposta del genere, e forse lo potrebbe essere Heidegger, ma il nostro senso comune ci segnala qualcosa di strano: non sembra, infatti, possibile provare dei sentimenti per un qualcosa che non esiste. Siamo arrivati a poter esprimere esplicitamente il nostro problema:

Si possono provare sentimenti reali per personaggi fittizi?

Non cercherò alcuna risposta definitiva, ma vi presenterò alcune proposte per risolvere questa apparente aporia.

  1. C’è chi afferma che i sentimenti che proviamo per i personaggi della fiction non sono sentimenti reali, ma sentimenti sui generis, i quali sono solo lontanamente imparentati con quelli reali. Gli argomenti a favore sono i seguenti: (a) non sembra possibile provare dei sentimenti reali per cose che non esistono; (2) se provassimo dei sentimenti reali, avremmo anche delle conseguenze sentimentali reali. (Se proviamo odio per Iago, paura per Desdemona e pietà per Otello, cercheremmo di fermare il pugnale del Moro e non saremmo, invece, inchiodati alla nostra poltrona).
  2. C’è chi sostiene, anche su base esperienziale, che non si possa negare la realtà dei sentimenti provati (chi non si è mai commosso davanti alle scene di un film?). Di conseguenza, deve esserci qualche spiegazione del perché entità non esistenti suscitino dei sentimenti autentici. (1) Forse, assorbiti dalla letteratura, dal teatro o dal cinema, siamo capaci di attivare la sospensione della credenza teorizzata da Coleridge. La credenza che qualcosa esista o meno non è importante nel contesto artistico. (2) È Shakespeare a sbagliare, perché è poco parmenideo! I personaggi fittizi non possono non esistere: il non essere non è e basta. Essi possono far parte del senso di un termine senza significato (Frege?), possono risultare delle descrizioni definite non soddisfatte (Russell), una classe di referenti nominali (Goodman), abitanti di mondi possibili, etc. Dato che i personaggi fittizi esistono (in un modo o nell’altro), allora i sentimenti provati nei loro confronti possono essere reali.

Non ho mai trovato nessuno così insensibile da affermare che non si prova alcun sentimento verso i personaggi della fiction. Voi che ne pensate?

Per Approfondire


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1 comment

  1. francesco MESITI

    Rispondo all’articolo .
    Le speculazioni intellettive sono infinite come infinite sono le deduzioni che da esse traggono origine.Trovare la logica delle affermazioni richiede un chiarimento di parametri e presupposti in grado di rendere la sensazione e la percezione riflessione.
    Le relazioni sentimentali hanno come condizione imprescindibile le relazioni esistenziali e quindi entità ed identità ben definite.Il virtuale può essere un buon esercizio ma è privo della complessità ed irripetibiltà del sentimento ove esso si basa come si basa sugli elementi esistenziali della personalità e con esse si connette in modo imprescindibile.
    Ove manchi la potenzialità esistenziale è possibile rifugiarsi nel mondo astratto dalle relazioni ma ciò non attiene ai sentimenti ma alle sensazioni.
    A partire dalla tragedia greca il logos si struttura non sui personaggi ma sula persona che appunto significa maschera.La maschera è la generalizzazione della tematica mai la definizione del rapporto sentimentale e come tale ha fini generali stimolanti la riflessione e mai l'immedesimazione.L'attore e sovra strutturato rispetto all'idea logica che vuole comunicare e come tale è posto fuori del rapporto.Ove si percorressero strade del virtuale o dl generico personalizzato la nebbia offuscherebbe ogni autenticità o comunque lascerebbe spazio ad una autenticità unilaterale e come tale priva di ogni consistenza.
    L'arte è l'espressione di un concetto che abbraccia infinite problematiche esistenziali lasciando ad ognuno il campo della riflessione mai del coinvolgimento che va oltre l'emozione.

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