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La “svolta estetica” del Novecento

La “svolta estetica” del Novecento

Mar 06

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‹‹Gli artisti sono grandi maghi che rendono gli oggetti leggeri come ombre, e se li appropriano, e li fanno creature della loro immaginazione e della loro impressione››. Così scrive Francesco De Sanctis, a conclusione del paragrafo IX dello Studio sopra Emilio Zola, a proposito della sua concezione dell’arte e della poesia. Tuttavia, in quest’affermazione manca ancora quel “quid” che contraddistingue l’essenza dell’artista, ossia ‹‹il vivo sentimento dell’ideale umano e la potente immaginazione costruttrice e rappresentatrice››, incalza De Sanctis poche righe dopo.

Le riflessioni desanctisiane fanno capo a quell’orientamento dell’estetica italiana, che si esprime attraverso l’asse De Sanctis-Croce. L’estetica elaborata da De Sanctis si focalizza sul concetto di “forma”, la quale converge verso una filosofia del poiein (dal greco “fare”). La forma è concretezza, punto d’incontro tra immaginazione, passione, concetto, malinconia. Pertanto, la forma rappresenta la sostanza dell’universo estetico, il “vivente”, che di continuo si deteriora, per poi ricostruirsi, dandosi aspetti inediti. Nel movimento vorticoso della forma, che costituisce sia il presupposto, sia il fine dell’agire estetico, si verifica il progressivo distaccarsi dell’artista dalle cose del mondo: quanto più forte è la volontà di annullamento di quest’ultimo nelle cose, tanto maggiore è l’evidenza con cui ‹‹quelle sbalzan fuori vive e vere››. Questa è la conclusione a cui si giunge, se ci si confronta con i più celebri esempi della letteratura italiana ed europea, ai quali De Sanctis, appunto, si è riferito: da Dante a Petrarca, da Machiavelli a Foscolo, da Mazzini a Leopardi, e così via.

Credo che il nocciolo del discorso desanctisiano sia un “realismo”, che investe le cose e lo stesso operare del poeta e dell’artista. Il “fare poetico” è un incessante penetrare nella realtà, nella struttura intima degli enti che compongono il mondo, nel loro “esserci”. Il disegno della nuova estetica, messo a punto da De Sanctis, scaturisce, senza dubbio, dallo studio dell’estetica hegeliana, condotto dal Nostro, in base alla quale ‹‹il bello non è che l’armonia della forma con l’idea››. Tuttavia, secondo De Sanctis, Hegel avrebbe tenuto ancora distinti i due termini e, perciò, la filosofia dell’arte del pensatore tedesco può costituire soltanto un punto di partenza per operare una “riforma” dell’estetica.

L’opera di De Sanctis ha influenzato e, per certi versi, anticipato le più significative poetiche del Novecento: basti pensare alle riflessioni di Croce e Gentile, oppure al nesso, individuato dalla critica, tra De Sanctis e Gramsci.

Per capire quanto fosse stato incisivo il pensiero desanctisiano, basta riflettere sul fatto che un’‹‹altra›› estetica, affermatasi nello scenario europeo ai primi del Novecento, appare molto affine a pensatori come De Sanctis o Leopardi: mi riferisco al simbolismo, ed in particolare, alle straordinarie opere create da Poe, Valéry, Mallarmé, Baudelaire, ecc. In tutti questi autori vi è l’intenzione di costruire un verso poetico che sia capace di attraversare le componenti della natura e, nel contempo, il poeta rappresenta un essere superiore, in quanto dotato di una facoltà percettiva senza pari, in virtù della quale riesce ad afferrare il senso dell’“unità cosmica”.

Opera di riferimento: A. Trione, Estetica e Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1996.
Alcuni riferimenti sono ricavati dalla mia tesi di laurea triennale: L. Anceschi e le poetiche della modernità.


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