Diogene Laerzio su Talete (seconda parte: I, 27-33)
Diogene Laerzio su Talete (seconda parte: I, 27-33)
Dic 18Brano precedente: Diogene Laerzio su Talete (prima parte: I, 22-27)
Non è chiaro, comunque, quel che successe per quanto concerne il tripode, quello trovato dai pescatori e inviato ai sofi dal demos dei Milesi. 28 Secondo una fama, ecco, alcuni giovinetti ionici comperarono una retata presa da alcuni pescatori milesi. Quando, però, fu tirato su un tripode, si presentò un diverbio che continuò sinché non fu inviata una legazione a Delfi; e così il dio diede questo responso:
Prole di Mileto, chiedi a Febo pertinentemente a un tripode?
Enuncio: il tripode sia di chi primeggia su tutti in sofia.
Lo danno, dunque, a Talete, e questi a un altro sofo, e quest’altro a un altro ancora fino a Solone. Costui, da parte sua, professò che primi in sofia è il dio, così lo inviò a Delfi. Callimaco nei Giambi racconta però un’altra storia presa da Leandro il milesio. Eccola qui: un arcade, Battide, lasciò per testamento una coppa specificando di «darla all’ottimo tra i sofi». Fu data, dunque, a Talete e dopo un periodo di consegne ad altri andò di nuovo a Talete. 29 Questi, infine, la mandò ad Apollo Didimeo, accompagnandola, secondo Callimaco, con queste parole:
Talete al patrono della gente di Neleo mi
dona, avendo ricevuto due volte questo premio in ragione della mia sagacia.
La versione in prosa è di questo tenore: «Talete di Essamia, milesio, ad Apollo Delfinio, avendo ricevuto due volte questo premio in ragione della mia sagacia tra gli Elleni». E il figlio di Battide, che pellegrinò colla coppa, si chiamava Tirione, secondo quanto afferma Eleusi nel libro Su Achille e Alessone di Mindo nel nono libro dei Racconti mitici.
Diversamente, Eudosso di Cnido ed Evante il milesio sostengono che uno degli amici di Creso ricevette un calice d’oro da parte del re perché lo donasse al più sapiente tra gli Elleni; 30 questi dunque lo donò a Talete. E questo calice, portato in giro, pervenne a Chilone, il quale avrebbe sottoposto al Pizio un quesito su chi fosse più sapiente di lui. E il Pizio rispose «Misone», di cui parleremo. (I proseliti di Eudosso fanno di costui uno dei sette sofi anziché Cleobulo, mentre Platone avanza il suo nome al posto di quello di Periandro). Per quanto concerne costui, dunque, il Pizio rispose con queste parole:
Professo che qualcuno, Misone Eteo, in Chene,
meglio di te è armato d’un corpo di pensieri saggi.
Colui che pose questo quesito, dunque, era Anacarsi. Daimaco di Platea e Clearco, per contro, sostengono che la coppa fu inviata da Creso a Pittaco, e che in questo modo cominciò a esser portata in giro.
Androne nel Tripode dichiara invece che gli Argivi misero a disposizione un tripode come premio di virtù a beneficio del più sapiente degli Elleni; nel certame avrebbe prevalso lo spartiate Aristodemo, che l’avrebbe ceduto a Chilone.
31 Anche Alceo menziona Aristodemo in questo passo:
Dunque, favellano che una volta Aristodemo a una non irragionevole lezione in Sparta
die’ voce: «l’uomo è gli averi, povero dunque non risulta alcun singolo valente».
Alcuni, poi, affermano che un vascello che trasportava un carico fu inviato da Periandro a Trasibulo, tiranno di Mileto; successivamente questa nave fu persa in un naufragio nel mare in prossimità di Cos, dopodiché il tripode fu trovato da alcuni pescatori. Fanodico, per parte sua, dichiara che fu scoperto nel mare nei paraggi di Atene e che, portato su in città, dopo che si congregò l’assemblea fu mandato a Biante; allegheremo il perché di questa disposizione nel capitolo concernente Biante.
32 I testi di altri affermano che questo tripode fu opera di Efesto e che fu donato dal dio a Pelope come presente nuziale; giunse dunque nelle mani di Menelao e, sottratto simultaneamente al rapimento di Elena da parte di Alessandro, fu di proposito buttato nel mare di Cos dalla laconica, per la ragione che – avrebbe detto proprio questo – avrebbe provocato contese. Tempo dopo, quando alcuni Lebedini, in questo stesso luogo, comprarono una retata di pesci, presero anche il tripode; dopodiché, litigando coi pescatori per decidere di chi dovesse divenire, procedettero sino a Cos; così, giacché non ne nacque alcun risultato, mostrarono l’impasse ai Milesi, la cui polis era la loro madrepatria. Dunque questi ultimi, provocati dal non aver ottenuto risposta a dispetto del fatto che avessero promosso delle legazioni, presero le armi contro gli abitanti di Cos. E giacché i campi di ambedue i competitori si riempirono di caduti, uscì l’oracolo che propiziava il dono a Talete. E costui, dopo il periodo di tourneé del tripode, ne fece un’offerta ad Apollo Didimeo. 33 Ebbene, l’oracolo per i cittadini di Cos era formulato in questo modo:
Non languirà la contesa tra Meropi e Ioni prima
che il tripode aureo, che Efesto gettò nel ponto,
non espelliate dalla polis cosicché giunga in casa d’un uomo
tale che, provvisto di sofia, conosca quel che è e quel che sarà e quel ch’è stato prima.
Esternò, dunque, ai Milesi:
Prole di Mileto, chiedi a Febo pertinentemente a un tripode?
E sia sufficiente quanto verbalizzato prima. Ebbene sì, queste vicende si son dipanate in questo modo.
La traduzione è condotta sul testo dell’edizione critica di Marcovich:
Diogenes Laertius, Vitae philosophorum, ed. D. Marcovich, Lipsiae 1999.
Brano seguente: Diogene Laerzio su Talete (terza parte: I, 33-37)