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Una poesia parenetica bizantina sul giorno del giudizio

Una poesia parenetica bizantina sul giorno del giudizio

Mag 30

Immortale giudizio, di giustizia
giudice, tribunal terrificante
e pauroso c’attende, o alma. Nudi
tutti noi generati e quadrivolti,
giustamente chiamati a render conto,
stiamo per presentarci. Là non regna
ricco, sovran non vige: infatti pesansi
gl’atti d’ingiusti e giusti. Qual pauroso
dì, qual tremendo dì, allorquando Dio
giudica sulla terra, a’ responsabili
parve. S’istauran, ecco, accusatori
ch’esaminano gl’atti ed i segreti
espongono: o allora che terrore!
Riprenditi orben, alma, piangi prima
del termine, che non sopraggiunga
la morte subitanea a carpirti.
Il cadaver giacente nella tomba
non ha ravvedimento: si disseccano
le lacrime, la lingua riman muta.
Non è ravvedimanro nell’Averno,
come sta scritto: come infatti il fango
inneggiare potrebbe, allorché pietra
lo ricoprisse? Scorre e va via come
filo d’erba natura tutta: è ombra,
sogno, codesto mondo passeggero.
Dunque perché, tapina, nelle terree
cose permani? Colle mani tese
ti riceve il Fattore, tu convertiti.
Filantropo, magnanimo, Signore
di pietà, tu che per natura sei
buono, compassionevole, in me addita
questo. Coll’inconversa, scivolata
nel fondo abissal, alma sii pietoso
poiché buono; poiché pietoso, salvala.


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