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Testimonianze filosofiche su Anassagora (3)

Testimonianze filosofiche su Anassagora (3)

Set 06

 

 

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Diels-Kranz 59 A 41

Simpl. Phys. 27, 2: Anassagora di Egesibulo, clazomenio, dopo aver condiviso la [koinōnēsas tēs] filosofia di Anassimene, per primo ricostituì le dottrine sui principi [metestēsen tas peri tōn arkhōn doxas] e le completò con [aneplērōse] la causa lasciata da parte, rendendoli infiniti, corporei [tas men sōmatikas apeirous poiēsas]: tutti, ecco, gli omeomeri, come acqua, fuoco od oro, sono ingenerati [agenēta] ed incorruttibili [aptharta], mentre paiono [phainesthai] generarsi [ginomena] ed estinguersi [apollumena] per conglomerazione [sunkrisei] e discrezione [diakrisei] soltanto; tutti sono insiti in tutti, ciascuno comunque è caratterizzato secondo quello che prevale in esso [kata to epikratoun en autō(i)]. Oro infatti appare quello in cui v’è molto oro, pur essendovi insiti tutti [phainetai ekeino en hō(i) polu khruson esti kaitoi pantōn enontōn]. Dice dunque Anassagora che «in ogni cosa è insita parte di ogni cosa [en panti pantos moira enesti] e «ogni uno è ed era le cose più appariscenti che più vi son insite» [DK 59 B 12]. Ed in questi ambiti Teofrasto afferma che Anassagora argomenta pressappoco come Anassimandro: questi infatti afferma che nella discrezione dell’infinito i congeneri entrano in relazione, e giacché nel tutto v’era oro, si genera oro, e giacché v’era terra, si genera terra; similmente dunque avviene anche per ciascuna delle altre cose, siccome non si generano ma ineriscono già prima. Anassagora comunque come causa del movimento e della generazione stabilì l’intelletto [tēs de kinēseōs kai tēs geneseōs aition epestēse ton noun], il quale, discriminandoli, fa nascere i cosmi e la natura delle altre cose [huph’ou diakrinomena tous te kosmous kai tēn tōn allōn phusin egennēsen]. «E così», afferma, «prendendo le mosse, Anassagora può forse sembrare rifarsi a principi materiali infiniti [tas men hulikas arkhas apeirous poiein], all’intelletto, invece, come all’unica causa [mian aitian] del movimento e della generazione; se invece si supponesse che la mistione di tutte le cose assieme sia un’unica natura indeterminata sia per forma sia per magnitudine, ne viene che egli dice due le cause [ei de tis tēn mixin tōn hapantōn hupolaboi mian einai phusin aoriston kai kat’ eidos kai kata megethos, sumbainei duo tas arkhas auton legein]: la natura dell’infinito [tou apeirou] e l’intelletto; sicché pare rifarsi agli elementi corporei [ta sōmatika stoikheia] pressoché come Anassimandro».

Ibid. 166, 15: Avendo detto Anassagora che «né del piccolo c’è il minimo, ma sempre un minore» [DK 59 B 3] né il massimo (come la stessa espressione di Anassagora mostra, ed anche Teofrasto nel secondo libro dell’Intorno ad Anassagora, scrivendo questo: «inoltre non è sufficiente per arrivare a un argomento affidabile il dire che tutte le cose sono in ognuna per questo, perché sia in magnitudine sia in piccolezza son infinite e non è possibile cogliere né il minimo né il massimo [epeita to dia touto legein einai panta en panti, dioti kai en megethei kai en smikrotēti apeira, kai oute to elakhiston oute to megiston esti labein, oukh hikanon pros pistin]») ecc.

Lanza A 41

Simplicius, In Aristotelis Physicam, 162, 31: Sono insiti [enesti] allora nell’omeomeria [en tēi homoiomereia(i)] e carne e osso e sangue e oro e piombo e dolce e bianco, ma a causa della piccolezza sono impercettibili per noi, pur essendo tutti in tutti [dia mikrotēta anaisthēta hēmin estin, onta panta en pasi].

Ibid. 167, 12: Se qualcuno argomentasse che ogni grandezza è divisibile all’infinito [pan megethos ep’ apeiron esti diaireton] e per questo di ogni grandezza assunta ce n’è una minore [pantos tou lambanomenou estin elatton], sappia che le omeomerie non sono semplicemente grandezze, bensì grandezze tali [haplōs megethē, alla ēdē toiade megethē], carne e osso e piombo e oro e le cose cotali [ta toiauta], che non si può [hoion te esti] preservare la forma [phulattein to eidos] dividendole all’infinito. Ecco: come [hōs] grandezze, si dividono all’infinito anche queste, invece come carne e osso no [ouketi]. Tali dunque ipotizzava i principi [toiautas de hupetitheto tas arkhas] Anassagora ed essi neppure divisibili [kau oude diairetas tautas]. E l’intero, dunque, si compone di quelle parti nelle quali anche si divide, separabili in atto come gli omeomeri, ma non i corpi in quanto corpi [ex ekeinōn sunkeitai tōn merōn eis ha kai diairetai energeia(i) khōrizomena hoia ta homoiomerē, all’ oukhi ta sōmata katho sōmata]. Perciò anche Aristotele infallibilmente ha aggiunto: «dico dunque qualcuna delle parti tali che l’intero in esse si divide sostenendo l’esistenza [legō de toioutōn ti moriōn, eis ho enuparkhon diaireitai to holon]». Non si divide infatti in corpi in quanto [hē(i)] corpi l’intero, ma in carne e ossa e nelle cose cotali, che anche secondo Anassagora sono incorruttibili [aphtharta]. Sicché non può sopportare la divisione sino alla corruzione della propria forma [an hupomenoi tēn mekhri phthoras tou oikeiou eidous diairesin], né, insomma, le parti generate dalla [ta ginomena moria ek tēs] divisione all’infinito esistono in atto [enuparkhei energeia(i)], ma in potenza [dunamei] soltanto. E dunque per queste ragioni Aristotele ha aggiunto ancora quell’enunciato: l’intero non potrebbe giammai dividersi in quelle che si dicono parti di qualcosa, come son dette parti di un corpo la materia e la forma [hattina legetai men moria tinos, ou mēn diairetheiē an to holon eis auta, hoia estin hē hulē kai to eidos tou sōmatos moria legomena].

Ibid. 168, 25: Forse qualcuno potrebbe dire, argomentando in supporto di Anassagora, che se ciascuno degli animali o dei vegetali di ogni specie di omeomeria ne avesse una sola, l’omeomeria sintetica, [ei men hekaston tōn zō(i)ōn ē tōn phutōn ex hekastou eidous tōn homoiomereiōn mian eikhen homoiomereian tēn suntitheisan] come una sola di carne e una sola di osso e una sola di sangue, sarebbe necessario che all’aumento ed alla diminuzione delle omeomerie si accompagnassero le differenze di grnadezza [anankaion ēn tē(i) tōn homoiomereiōn auxēsei kai meiōsei tas kata megethos diaphoras akolouthein] degli animali e dei vegetali. Se invece ha una massa di [plēthos ex] ciascuna specie di [eidous tōn] omeomerie, come molti pezzetti di carne, perché dovrebbe essere assurdo che la carne diminuisse all’infinito e l’animale invece no [sarkia polla, ti atopon sarka men ep’ apeiron kathairein, zō(i)ōn de mēketi]? Ma se i pezzetti di carne sono più [pleiona], sono o finiti di numero o infiniti [ē peperasmena tō(i) arithmō(i) ē apeira]; e se sono finiti, come tre, quattro o diecimila, allora ne sarà determinata la grandezza e del minimo e del massimo [hōrismenon an eiē to megethos kai tou elakhistou kai tou megistou], se invece son infiniti per quantità, la grandezza composta di grandezze infinite per quantità è necessario che sia infinita [apeira tō(i) plēthei, to ex apeirōn tōi plēthei megethōn megethos apeiron anankē einai].

Iohannes Philoponus, In Aristotelis Physicam, 102, 27: Se, ecco, in ciascun animale vi fosse un’unica [mia ēn en hekastō(i) zō(i)ō(i)] omeomeria di carne o di osso o di sangue, sarebbe logico [eulogon] che se aumentasse o diminuisse la parte, così aumenterebbe e diminuirebbe anche l’intero, ora invece le cose non stanno così, ma parecchie [pleious] omeomerie, di carne o di osso o delle restanti cose, concorrono [suniousai]. Così producono [poiousi] la carne dell’animale e l’osso. Non è quindi necessario che l’animale diminuisca con [summeiousthai] le omeomerie. È possibile infatti che molte omeomerie, anche se sono piccole, confezionino [suntheinai] il corpo dell’animale, come è delle pietre delle quali si compone la casa… di più se sono più piccole.

Simpl. Phys. 171, 30: L’argomento [logos] di Anassagora subisce l’ostacolo più forte nella quinta confutazione [elenkhon]: se la si accetta [endekhato], è valida anche l’obiezione contro tutta l’ipotesi che enuncia che i principi sono omeomerie infinite in quantità e che tutte le cose son mischiate in tutte le cose [pros pasan tēn hupothesin hē epikheirēsis tēn legousan apeirous tō(i) plēthei homoiomereias einai tas arkhas kai panta en pasi memikhthai].

Ibid. 172, 20: Ed in un altro modo ancora più assurda sembrerà la deduzione redatta da Aristotele [to hupo tou Aristotelous sunagomenon]. Se infatti gli omeomeri fossero infiniti e tutte le cose fossero in ognuna, allora in ciascuno degli omeomeri, che sono infiniti, ci sarebbero tutti [apeirōn ontōn panta an eiē], ed in ciascuno di tutti gli infiniti in questo ci sarebbero tutti [en hekastō(i) pantōn tōn en toutō(i) apeirōn panta]. E così in ciascuna omeomeria ci sarebbero carni infinite ed ossa e sangue e cervello e tutte le altre cose, che sono infinite. E protraendo all’infinito questo argomento seguirà che, avendo ciascuna cosa in sé tutte le cose e ciascuna di quelle che son in essa avendole tutte, questo sarà sempre valido pure per tutti i soggetti in atto, non solo per quelli in potenza [kai touto ep’ apeiron prokhōrousin akolouthēsei hekastou panta ekhontos kai tōn en autō(i) hekastou panta, kai aei touto kaitoi energeia(i) einai pantōn hupokeimenōn, all’ ou dunamei]. Per più aspetti quindi v’è illogicità in tale ipotesi [pollakhōs oun to alogon en tē(i) toiautē(i) hupothesei]. Già è illogico che in una grandezza finita vi sia una grandezza infinita, ma ancor di più che ve ne siano infinite ed infinitamente infinite [kai hoti en peperasmenō(i) megethei apeiron einai megethos, alogon, mallon de apeira kai apeirakis apeira]. Infatti le grandezze infinite sono insite in questo pezzetto di carne ed in ciascuna delle infinite e questo all’infinito. Illogico è pure l’esservi grandezze infinite separate le une dalle altre, non solo perché i separati si limitano l’uno coll’altro, ma pure perché non è possibile che una qualche grandezza infinita sia costituita da parti separate [alogon de kai to apeira kekhōrismena ap’ allēlōn einai, ou monon dioti ta kekhōrismena perainei pros allēlla, all’ hoti oude apeiron ti megethos hoion te ek kekhōrismenōn einai merōn].

 

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