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Testimonianze filosofiche su Anassagora (12)

Testimonianze filosofiche su Anassagora (12)

Ott 07

 

 

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Diels-Kranz 59 A 92, Lanza A 92

Theophr. De sens. 27 ss.: Anassagora afferma che le sensazioni si generano coi [tois] contrari: il simile infatti è impassibile al simile [apathes hupo tou homoiou]; prova dunque a passarle in rassegna una a una separatamente. Ecco che il vedere [horan] si ha per la capacità di formarsi immagini [tē(i) emphasei] della pupilla, non si formano immagini [emphianesthai], or dunque, su quel che è dello stesso colore [eis to homokhrōn], ma sul differente [eis to diaphoron]. E v’è l’alterazione del colore [to allokhrōn] per i più di giorno, per alcuni invece di notte; perciò allora vedono acutamente. In complesso [haplōs] dunque la notte è di colore più simile rispetto al giorno a quello degli occhi. Si formano immagini dunque di giorno giacché la luce è concausa dell’immagine [to phōs sunaition tēs emphaseōs]; il colore più forte [kratousan mallon], dunque, forma sempre un’immagine sull’altro [eis tēn heteran]. (28) Allo stesso modo, dunque, discerne [krinein] sia il tatto sia il gusto: quel che infatti è similmente [to gar homoiōs] caldo e freddo, accostato [plēsiazon], né riscalda né raffredda, né, or dunque, si riconoscono [gnōrizein] il dolce ed il piccante di per sé stessi [di’ autōn], ma in relazione al [tō(i)] caldo il freddo, in relazione al salato il potabile, in relazione al piccante il dolce, secondo la mancanza di ciascun contrario [kata tēn ellepsin tēn hekastou]: afferma infatti che tutti [panta] sussistono [enuparkhein] in noi. Allo stesso modo dunque si avrebbero sia l’odorare sia l’udire, il primo assieme all’inspirazione [hama tē(i) anapnoē(i)], il secondo col diffondersi del suono sino al cervello: infatti l’osso che lo circondo, nel quale s’imbatte il suono, è cavo. (29) Or dunque, ogni sensazione è accompagnata da dolore, il che sembrerebbe essere conseguenza della sua ipotesi [hapasan d’ aisthēsin meta lupēs, hoper an doxeien akolouthon einai tē(i) hupothesei]: tutto quel che è dissimile, infatti, entrando in contatto procura pena [pan gar to anomoion haptomenon ponon parekhei]. Questo dunque appare chiaro [phaneron] col prolungamento del tempo e colla sovrabbondanza delle sensazioni [tō(i) te tou khronou plēthei kai tē(i) tōn aisthētōn huperbolē(i)]. Ed infatti i colori brillanti ed i suoni sovrabbondanti [huperballontas] inducono [empoiein] dolore e non si può [dunasthai] permanere con essi [tois autois epimenein]. Or dunque, gli animali più grandi son più sensibili [aisthētikōtera] e complessivamente la sensazione è conforme alla grandezza [kata to megethos] < dei sensori >. Quanti infatti hanno occhi grandi e puri e brillanti vedono cose grandi e da lontano [porrōthen], contrariamente a quanti li han invece piccoli. Or dunque, anche per l’udito s’ottiene qualcosa di simile. (30) Gli animali grandi, infatti, odono i suoni grandi ed i suoni da lontano, mentre restano per loro latenti i minori [ta d’ elattō lanthanein], gli animali piccoli invece odono i suoni piccoli ed i suoni da vicino [engus]. Anche per l’olfatto s’ottiene qualcosa di simile: odorano infatti meglio l’aria sottile, l’odorano, ecco, riscaldata e rarefatta. Inspirando, l’animale grande invece trae assieme al rado anche il fitto, quello piccolo, invece, proprio il rado; anche perciò quelli grandi percepiscono meglio [mallon aisthanesthai]. Ed infatti l’odore vicino è più odorifero di quello lontano per il fatto d’essere più fitto, mentre dileguandosi s’indebolisce. Pressappoco dunque come dire che quelli grandi non percepiscono quello leggero, quelli piccoli, invece, quello fitto.

(31) Ebbene, il far della sensazione effetto dei contrari ha qualche ragione [to men oun tois enantiois poiein tēn aisthēsin ekhei tina logon], come si argomentò: sembra infatti che l’alterazione non sia sotto l’azione dei simili, ma sotto l’azione dei contrari [hē alloiōsis oukh’ hupo tōn homoiōn, all’ hupo tōn enantiōn einai]. Eppure pure questo ha bisogno d’argomentazione affidabile, se la sensazione sia alterazione e se il contrario sia discriminante per il contrario [kaitoi kai touto deitai pisteōs, ei alloiōsis hē aisthēsis ei te to enantion tou enantiou kritikon]. Invece sul fatto che ognuna sia accompagnata da dolore non si può concordare né come esito dell’esperienza (alcune < infatti > sono accompagnate da piacere e la maggior parte è senza dolore) né come esito dei buoni ragionamenti [to de meta lupēs hapasan einai out’ ek tēs khrēseōs homologeitai, ta men < gar > meth’ēdonēs ta de pleista aneu lupēs estin, outt’ ek tōn eulogōn]. La sensazione infatti è secondo natura, nessuna dunque delle cose secondo natura sorge con violenza ed accompagnata da dolore, ma piuttosto accompagnata da piacere, e ciò pare per davvero avvenire [hē men gar aisthēsis kata phusin, ouden de tōn phusei bia(i) kai meta lupēs, alla mallon meth’ēdonēs, hoper kai phainetai sumbainon]. Il più delle volte infatti ci piace il percepire anche di per sé stesso, separatamente dal perseguire il desiderio per l’oggetto particolare [ta gar pleiō kai pleonikas hēdometha kai auto to aisthanesthai khōris tēs peri hekaston epithumias diōkomen]. (32) Eppoi: poiché sia piacere sia dolore si generano mediante la [dia tēs] sensazione e tutto l’insieme di quel che è per natura è in relazione al meglio, come la scienza, allora dovrebbe esser accompagnata da piacere piuttosto che da dolore [hapan de phusei pros to beltion esti, kathaper hē epistēmē, mallon an eiē meth’ēdonēs ē meta lupēs]. Simpliciter dunque, se il pensare [to dianoeisthai] non è accompagnato da dolore, non lo sarà neppure il sentire: ciascuno dei due infatti ha la stessa funzione rispetto allo stesso uso [ton auton gar ekhei logon hekateron pros tēn autēn khreian]. Ma né le sovrabbondanze delle sensazioni né il prolungamento del tempo son segno che [sēmeion hōs] la sensazione è accompagnata da dolore, ma piuttosto che è in un qualche rapporto proporzionale e mescolanza col percepito [en summetria(i) tini kai krasei pros to aisthēton]; per ciò forse il piccolo non è percepito, mentre il sovrabbondante produce dolore e distrugge [to men elleipon anaisthēton, to d’ huperballon lupēn te poiei kai phtheirei]. (33) Avviene invece che ispezioni quel che è secondo natura a partire da quel che è contro natura [to kata phusin ek tou para phusin skopein]: la sovrabbondanza infatti è contro natura. Che, ecco, per alcuni alcune volte ci sia dolore, così come piacere, questo è chiaro e concordato, comunque non per questo, ecco, [epei to ge ap’ eniōn kai eniote lupeisthai, kathaper kai hēdesthai, phaneron kai homologoumen; hōst’ ouden mallon dia ge touto] è accompagnata da dolore piuttosto che da piacere, ma forse conformemente, ecco, alla verità non è accompagnata da nessuno dei due [met’ oudeteron kata ge to alēthes]: non potrebbe infatti neppure discernere, come neppure il pensiero, se fosse continuamente [oude gar an dunaito krinein, hōsper oude hē dianoia sunekhōs ousa] accompagnata da dolore o piacere. Ma ha trasferito questo da un piccolo principio alla sensazione nella sua interezza [touto men apo mikras arkhēs eph’olēn metēnenken tēn aisthēsin]. (34) Or dunque, quando si dice che gli animali maggiori sentono meglio e complessivamente che la sensazione è conforme alla grandezza dei sensori, uno di questi argomenti contiene un’aporia [haplōs kata to megethos tōn aisthētēriōn einai tēn aisthēsin, to men autōn ekhei tina aporian], cioè se, tra gli animali, i piccoli non son più sensibili dei grandi: sembrerebbe infatti essere proprio d’una sensibilità più precisa non lasciar latenti le piccole cose [akribesteras aisthēseōs einai ta mikra mē lanthanein]. E che chi è capace di discernere le minori sia insieme capace di discernere anche le maggiori, questo non è illogico [kai hama to ta elattō dunamenon kai ta meizō krinein ouk alogon]. Insieme a ciò, dunque, sembra anche per quanto riguarda alcune sensazioni i piccoli siano migliori dei grandi, cosicché in questo la sensibilità dei maggiori è minore. (35) Se d’altronde pare che anche per i piccoli restino latenti molte cose, è migliore quella dei maggiori; simultaneamente però è anche logico che l’attitudine per le sensazioni sia conforme all’intera mescolanza del corpo [eulogon, hōsper kai tēn holēn tou somatos krasin, homoiōs ekhein kai ta peri tas aisthēseis]. Ebbene, quanto a questo, come s’è detto, si possono incontrare aporie [diaporēseien an tis], seppure si deve proprio dire così: non è infatti stato detto riguardo ai simili per genere secondo la grandezza, ma forse le cose principali son la disposizione e la mescolanza del corpo [ou gar en tois homoiois genesin aphōristai kata to megethos, alla kuriōtata isōs hē tou sōmatos diathesis te kai krasis]. Or dunque, nel riportare alle grandezze la proporzione delle cose percepite [to de pros ta megethē tēn summetrian apodidonai tōn aisthētōn] sembra argomentare similmente ad Empedocle, che infatti fa nascere la sensazione dall’armonizzarsi ai pori [tō(i) gar enarmottein tois porois poiei tēn aisthēsin]. Purtroppo sull’olfatto si rinviene una difficoltà particolare: afferma infatti che s’odora meglio l’aria sottile, ma che quanti attirano quella fitta han odorato più preciso di quanti attiran quella rada.

(36) Or dunque, per quanto riguarda la formazione delle immagini c’è una qualche dottrina comune [koinē tis estin hē doxa]: quasi la maggior parte infatti assume che il vedere si formi così: per il generarsi dell’immagine negli occhi [to horan houtōs hupolambanousi dia tēn ginomenēn en tois ophthalmois emphasin]. Tuttavia ancora non han considerato questo, che né le grandezze viste son proporzionali alle immagini [ta megethē summetra ta horōmena tois emphainomenois], né è possibile che si formino molte immagini assieme anche opposte [emphainesthai polla hama kai tanantia dunaton], ed inoltre che movimento e distanza [diastēma] e grandezza, benché visibili, non producono immagine [horata men, emphasin de ou poiousin]. Or dunque, per alcuni degli animali non si forma alcuna immagine, come per quelli con gli occhi duri e per quelli acquatici. Ed ancora: molte delle cose inanimate, secondo questa spiegazione, dovrebbero vedere: ed infatti in acqua e sul bronzo e su molte altre v’è riflesso. (37) Egli dunque afferma anche che i colori formano la lor immagine gli uni sugli altri, soprattutto il forte sul debole, cosicché ciascuno dei due dovrebbe vedere, e soprattutto il nero ed assolutamente il più debole. E perciò fa la pupilla dello stesso colore della notte e la luce causa della formazione delle immagini. Eppure, in prima luogo vediamo la luce stessa senza mediazione di alcuna immagine, in secondo luogo, le cose nere non hanno per nulla meno luce delle bianche. Ed ancora: nelle altre cose sempre vediamo che l’immagine si genera su quella più brillante e più pura, e così egli stesso dice che le membrane degli occhi sono sottili e brillanti. Or dunque, i più suppongono pure la stessa pupilla di fuoco, < siccome > di questo soprattutto partecipano i colori.

Anassagora quindi, come s’è detto, si riferisce a questa comune ed antica dottrina. Comunque su tutte le sensazioni argomenta in proprio, e soprattutto sulla vista perché è il senso maggiore [to mega aisthanomenon], non illustra [dēloi] le sensazioni più corporee [sōmatikōteras]. (59) Anche Anassagora infatti ha parlato semplicisticamente di essi [scil. dei colori].

 

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