Sofocle, Antigone 332-75 (primo stasimo)
Sofocle, Antigone 332-75 (primo stasimo)
Gen 30
CORO: Molte le cose spaventose, nulla
più spaventoso dell’uomo imperversa:
quello che per il plumbeo
mare nell’invernale Noto
s’inoltra, le furiose d’attorno
ondate sorpassando, e degli dei
la suprema, Gaia
inconsunta, infaticabile, distrugge
volgendo gli aratri anno dopo anno,
coll’equino genere coltivandola.
E la schiera dei volubili
augelli, intrappolandola, caccia
e delle fiere selvagge le stirpi
e la prole del salso mare
nelle spire delle maglie delle reti,
il perspicace uomo; domina
poi con macchinazioni
la fiera che ha silvestre covile nei monti, e
il cavallo dall’irsuta criniera sottomette con un giogo intorno al collo
e il montano infiaccabile toro.
E nella parola e nello spirante
pensiero e nei civili
impulsi s’è disciplinato, e dei
geli che non fanno uscire all’aperto, col sereno e
colla pioggia scrosciante, nel fuggire i dardi.
Portato a tutto, non è occlusa per nulla la porta per cui va
verso il futuro, solo dall’Ade
rifugio non otterrà,
benché da morbi irrimediabili rifugi
abbia escogitato.
Qualcosa di sapiente, la macchinazione
della tecnica, al di sopra della speranza avendo,
una volta verso il male, un’altra verso il bene serpeggia:
chi preserva le leggi del suolo
e degli dei il detto giurato
in alto sulla città; fuori dalla città chi di ciò che non è onesto
è compiaciuto in grazia dell’audacia:
né si presenti al mio focolare
né compare mi pensi
chi così agisce.