Porfirio, Sul conosci te stesso (1)
Porfirio, Sul conosci te stesso (1)
Gen 15Stob. 597,7 – 580,5: Che cosa sarebbe dunque e di chi il sacro precetto pronunciato in Pito, che ordina a quanti stanno per chiedere qualcosa al dio di conoscere sé stessi? Ecco, non sembra prescrivere a colui che è imprigionato nell’ignoranza di sé stesso di presentare gli onori convenienti al culto del dio o che il dio prometta l’attingimento di quanto richiesto. D’altronde, sia che Femonoe vaticinò questo coll’obiettivo di giovare in tutte le vicende umane ‒ la leggenda narra che disponendo di costei per prima il Pizio dispensasse i doni in favore agli uomini ‒, sia Fanotea figlia di Delfo, sia che fosse un dono fatto da Biante od offerto da Talete o da Chilone, originato dall’ispirazione di qualche dio, sia che sia meglio dar retta a Cleraco che professa che era precetto del Pizio quantunque venisse destinato come responso a Chilone che domandava che si menzionasse quale fosse per gli uomini la cosa migliore da imparare; sia che già prima di Chilone fosse stato eziandio iscritto nella sede del tempio dopo che fu edificato tra il colonnato e la statua di bronzo, come ha verbalizzato Aristotele nei libri Sulla filosofia ‒ or dunque, di chi esso potrebbe essere, Giamblico, venga aggregato all’ambito delle controversie; d’altra parte, che questa esortazione fu di sicuro verbalizzata dal dio o non senza il dio potrebbe essere evidenziato proprio dal fatto che essa non si trova nei documenti Pitici. Sarebbe dunque necessario conoscere che cosa mai sia ciò che questa frase proclama ed obbliga ad approntare nel culto del dio ancor prima delle abluzioni.
Stob. 580,7 – 581,14: D’altronde, è comunque possibile avanzare questa lettura: che dica «sii saggio» (sōphronei) intendendo questo: «salvaguarda la saggezza» (sōze tēn phrónēsin), siccome sōphrosunē, «saggezza», potrebbe essere una qualche riarticolazione di saophrosunē: in questa prospettiva il dio dispenserebbe una legge in rapporto a quanto attiene alla saggezza e alla causa dell’esser saggio, prescrivendogli di salvare sé stesso; questo dunque sarebbe il nous. D’altra parte, se è questo, si deve a sua volta conoscere che cosa sia questa nostra essenza. Altri, ecco, professando che l’uomo è stato giustamente distinto come microcosmo, professano che quest’iscrizione prescriva di conoscere l’uomo; dunque, giacché l’uomo è un microcosmo, il verbo del dio nient’altro dispone se non di filosofare; se perciò ci mettiamo con competenza a filosofare non inciampando, ci profondiamo nel conoscere noi stessi, e così noi saremo integrati nella retta filosofia se dalla comprensione di noi stessi c’eleveremo pervenendo alla contemplazione teoretica dell’universo. Or dunque, che assimiliamo leggi deducendole dai nostri stati interiori e sia perlustrando quanto è contenuto nell’intero sia indagando noi stessi, ‒ ed altresì scoprendolo ‒ perveniamo più facilmente all’osservazione teoretica dell’universo, è comunque detto legittimamente; d’altronde, forse il dio prescrive di avere riguardo per l’osservazione di sé stesso non a motivo della filosofia, ma a motivo di qualcos’altro di migliore, per disporsi al quale anche la filosofia fu appresa. In effetti, le ragioni per cui ci si è occupati di filosofia sono la nostra propensione per quanto attiene alla sofia e l’amore per la sofia teoretica; cionondimeno, lo studio del precetto di provvedere a conoscere sé stesso si estende tanto da integrare la vera eudemonia, la quale consiste nell’insieme degli effetti della disposizione conforme a sofia, degli effetti della contemplazione teoretica del bene conforme al possesso della sofia e degli effetti della conoscenza delle nature ontologicamente essenti. Il dio dunque prescrive di aver riguardo per l’osservazione e comprensione di sé stessi quali essenzialmente si è, non perché filosofiamo ma perché, divenuti saggi, siamo felici, siccome l’acquisizione della nostra essenza ontologicamente essente e la vera conoscenza di questa è acquisizione di sofia, se, ecco, è portato proprio della sofia la vera episteme dell’essenza ontologica delle cose e dischiuso dalla sofia, dunque, nasce il possesso della perfetta eudemonia.
La traduzione dei frammenti è condotta sul testo dell’edizione di Giovanni Stobeo curata da C. Wachsmuth e O. Hense, I-V Berlino 1958.
Nella traslitterazione dal greco l’accento è sempre semplificato in acuto e segnato solo sui polisillabi non piani.
Brano seguente: Porfirio, Sul conosci te stesso (2)