Porfirio, Contro Boeto Sull’anima (1)
Porfirio, Contro Boeto Sull’anima (1)
Feb 26Eusebio, Preparazione evangelica, XI 28, 1-10: … così, per esempio, l’allegazione di un ragionamento a cui a Platone sembrò s’addicesse l’essere discriminante nello stabilire l’immortalità dell’anima: quello elaborabile dal simile. Questo il ragionamento: se è simile a quanto è divino ed immortale ed invisibile ed inscindibile ed indissolubile ed essenziale ed a quanto sta insieme nell’ambito dell’incorruttibilità, come potrebbe non essere del genere conforme al suo paradigma? Quando, infatti, si viene posti davanti alla scelta in merito a questo, a quale parte di due estremi chiaramente contrari, come il razionale e l’irrazionale, sia appartenente una qualche altra cosa, v’è questo singolo modo dell’apodissi: indicare a quale degli opposti sia simile. Per questa ragione, ancorché il genere umano si trattenga nell’irrazionalità durante la prima età e molti sino alla vecchiaia eccedano negli errori dell’irrazionalità, comunque, poiché questa offre molte somiglianze con quanto è puramente razionale, si credette sin dal principio che questo genere è razionale. Dunque, giacché vi è provatamente un sistema divino tanto incommisto quanto immacolato, ossia quello degli dei, e dacché, all’inverso, vi è chiaramente anche quello terreno, tanto dissolubile quanto collocato nella distruzione, venendo dibattuto da parte di alcuni con quale delle predette parti l’anima presenti rapporto, Platone pensò si dovesse rintracciare la verità evincendola dalla somiglianza. Così, giacché l’anima non assomiglia per nulla a quanto è mortale e dissolubile e inintelligibile e impartecipe della vita e per questo tangibile e sensibile e generato e abolibile, mentre assomiglia a quanto è divino e immortale e invisibile e intellettuale e al vivente congenere della verità e a quanto egli congettura di essa per analogia, gli sembrò bene non concedere che in essa vi siano le altre somiglianze con Dio, ma preferì non farle mancare l’affinità di essenza, disponendo di cui le avviene d’ottenere anche queste. Ecco, quanto per le sue attività non è simile a Dio è altro da lui evidentemente anche nella costituzione dell’essenza, cosicché, seguendo il solco di questo ragionamento, la conseguenza è che quanto partecipa in qualche modo delle sue attività possiede dall’inizio la somiglianza dell’essenza, siccome per il fatto che tale è l’essenza tali sono anche le attività, quasi che fluissero da essa e ne fossero rampolli.
Ordunque, ascolta che cosa ha fatto Boeto, che ha spogliato questo ragionamento della sua potenza, scrivendo questo proprio all’inizio del suo trattato:
Se l’anima è immortale e la sua natura è qualificabile come più forte di ogni morte, occorre mostrarlo rimanendo su molti ragionamenti e percorrendo a tutto tondo i ragionamenti allegati. Certo, chiunque potrebbe fidarsi del fatto che tra quanto pertiene alla nostra natura nulla sia più simile a Dio dell’anima senza aver bisogno che gli si porti una lunga trattazione, non solo per la continuità e la perpetuità del movimento che immette in noi, ma anche per la continuità e la perpetuità del nous in essa. Nel dare voce a questo, anche il fisico crotoniate disse che essa, essendo immortale, fugge anche per natura ogni quiete, come avviene per i divini tra i corpi. Ma a chi finalmente riflettesse sull’idea dell’anima, o meglio sul nous che comanda in noi, e considerasse quanto grandi progetti e quali slanci spesso muove, apparirebbe una grande somiglianza con Dio.
Articolo seguente: Porfirio, Contro Boeto Sull’anima (2)