Temi e protagonisti della filosofia

Plutarco, Sull’amore (1)

Plutarco, Sull’amore (1)

Mag 13

[Stob. 4,20,34] Estratto dallo scritto di Plutarco Sull’amore:
C’è sempre un singolo contenitore assemblante i drammi di Menandro, l’amore, quale pneuma comune ovunque diffuso. Comprendiamo dunque nell’indagine quest’uomo, il quale è stato il miglior seguace e celebrante del dio Eros, giacché ha parlato di questo pathos con osservazioni assai filosofiche. Ecco: andando per ordine, professa che è esperienza di sgomento per gli innamorati, il che è per davvero incontestabile, senonché poi una perplessità lo porta a porsi la domanda:

Di che cosa mai son schiavi?
Dell’adocchiamento? Chiacchiere: della stessa, infatti, tutti
s’innamorerebbero, siccome il vedere ha un discernimento sempre eguale.
Altrimenti ciò che fa agire gli amanti è la soavità
dell’accoppiamento? Come mai dunque uno che possiede una donna
non patisce per nulla, tutt’altro: va via da lei schernendola,
mentre un altro è distrutto dal lasciarla? Si presenta in un’occasione precisa il male
della psiche: chi ne è piagato in un momento di passione acuta ne è traumatizzato [fr. 791 K.-A.]

Ispezioniamo qual è il senso di questi ragionamenti: ecco, l’amore è ovviamente qualcosa che colpisce ed è motivo di eccitazione, anche se non è credibile che la vista o l’accoppiamento ne siano la spiegazione, siccome forse questi non sono che gli inizi, mentre la forza e il radicamento della passione son spiegabili in altri modi. D’altronde quest’apodissi è debole e neanche vera, siccome il vedere non comporta eguale discernimento, e lo stesso vale per il gustare. Ecco: la vista e l’udito di uno sono per natura più accentuati di quelli di un altro e sono allenati con tecniche per disporsi alla conoscenza del bello, nelle armonie e nei canti l’udito dei musici, nelle forme e nelle immagini la vista dei pittori; sicché dicono che una volta Nicomaco abbia risposto così a un profano che professava che l’Elena di Zeusi non gli sembrava bella: «Ecco, prendi i miei occhi ‒ disse ‒ e ti sembrerà una dea». Ordunque, anche i profumieri per quanto concerne le essenze odorose e, per Giove, i cuochi per quanto concerne i gusti hanno un discernimento differenziantesi in meglio dal nostro grazie a un’esperienza consumata e alla consuetudine. E ancora, pensare che l’innamorato non sia vinto dal piacere dell’accoppiamento perché un altro che è stato insieme alla stessa donna se ne astiene e la disprezza è come se uno dicesse che quel ghiottone di Filosseno non è diventato schiavo dei piaceri della tavola giacché Antistene, anche se ha gustato gli stessi cibi, non ha accolto tale passione, o che Alcibiade non era ebbro di vino giacché Socrate, anche se ne bevve la stessa quantità, rimaneva sobrio.

Ma lasciamo perdere questi versi e ispezioniamo i successivi, nei quali ormai manifesta la sua dottrina:

In un’occasione precisa si presenta il male della psiche.

È giusto, ben detto. Ecco, l’incontro tra chi patisce e chi causa deve avvenire nel medesimo istante, simultaneamente, quando si genera un rapporto tra l’una e l’altra parte, siccome la potenza del sentimento, per quanto forte, è inefficace sul risultato, se non v’è una disposizione passionale. Questa facoltà innata di agire al momento opportuno è dunque propria di chi è capace di colpire il bersaglio quando il kairos s’accosta a chi è pronto a subire la passione.

Articolo seguente: Plutarco, Sull’amore (2)


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