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Plutarco, Sulla superstizione (6)

Plutarco, Sulla superstizione (6)

Ago 19

Brano precedente: Plutarco, Sulla superstizione (5)


6. Che ne dici dunque? Non ti sembra che il difetto degli atei rapportato a quello dei superstiziosi sia di tal genere? Gli uni non vedono per niente gli dei, gli altri suppongono che siano malvagi; gli uni li trascurano, gli altri presumono spaventoso quanto è benevolo, tirannico quanto è paterno, dannoso quanto è premuroso e selvatico e ferino quanto è inoffensivo. Inoltre si fidano di bronzisti, scultori e modellatori di cera che rappresentano antropomorficamente l’aspetto degli dei e con tale aspetto li plasmano, li configurano e li venerano; disprezzano dunque filosofi ed uomini politici che indicano loro la maestà di Dio, che è accompagnata da bontà, magnanimità, benevolenza e sollecitudine. Per gli uni quindi v’è insensibilità e sfiducia nei confronti dei benefici, mentre gli altri provano turbamento e paura per questi benefici. Insomma, l’ateismo rappresenta insensibilità verso il divino per il fatto che non considera il bene, mentre la superstizione è surplus di passione che considera male il bene. Paventano gli dei e ciononostante si rifugiano da loro, li adulano ed insultano, li pregano e rimproverano. Comune agli uomini è non riuscire in tutto.

Siccome essi son immarcescibili ed insenescibili ed inesperti di fatiche, sfuggenti al traghetto che tra gravi lamenti porta all’Acheronte,

professa Pindaro sugli dei [fr. 143 Sn.]. Le passioni e le vicende umane, di contro, son mescolate assieme a circostanze da cui deriva ora un portato ora l’altro.

Brano seguente: Plutarco, Sulla superstizione (7)


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