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Plutarco, Sulla superstizione (4)

Plutarco, Sulla superstizione (4)

Ago 05

Brano precedente: Plutarco, Sulla superstizione (3)

4. A Samo era il tiranno Policrate a incutere paura, a Corinto era Periandro, ma nessuno sarebbe stato impaurito da costoro se si fosse trasferito in una polis libera e retta democraticamente. Ordunque, colui che paventa il potere degli dei come se costituisse una tirannide oscura ed inesorabile, dove si trasferirà, dove fuggirà, quale terra atea troverà, quale mare? Sprofondato e celatoti in quale parte del cosmo, o disgraziato, confiderai di essere fuggito da Dio? Anche per gli schiavi che riconoscono l’impossibilità della liberazione v’è una legge che li autorizza a chiedere di cambiare padrone venendo venduti a uno più ragionevole; la superstizione, invece, non concede altrettanto di mutare dei, e neanche è possibile trovare un dio di cui non abbia paura colui che già ha paura di quelli della sua patria e della sua gente, colui che rabbrividisce per quelli protettori e benevoli, colui che trema intimorito di fronte a quelli cui chiediamo ricchezza, benessere, pace, concordia, realizzazione per le parole e le azioni migliori. Costoro, peraltro, pensano che la schiavitù sia una sfortuna e dicono:

Che dira sfortuna per uomini e donne divenire schiavi e incontrare un padrone disumano;

se sapeste quanto è più diro sopportare quelli cui non si può sfuggire, che non si possono evitare, da cui non ci si può distanziare! Per uno schiavo v’è un altare ove rifugiarsi, anche per i ladri vi sono molti asili inviolabili nei templi, anche coloro che fuggono dai nemici s’incoraggiano se raggiungono la statua d’un dio o la cella d’un tempio; il superstizioso, di contro, prova orrore, paura e timore soprattutto di quello che infonde speranza in coloro che temono il peggio. Non distanziare il superstizioso dai templi: in essi subisce castigo e vendetta. A che serve allegare lunghe argomentazioni?

Limite della vita per tutti gli uomini è la morte [Demostene, Sulla corona, 97],

ma non è lo stesso per la superstizione, tutt’altro: supera oltremodo i confini del vivere, rendendo la paura più lunga della vita e accoppiando la morte col pensiero di mali immortali, cosicché le sembra che, quando posano le importunità, ne comincino altre senza posa. Si aprono alcune profonde porte dell’Ade e fiumi di fuoco si mescolano insieme alle diramazioni dello Stige e l’oscurità s’empie d’una pletora di visioni fantasmatiche che offrono occhiate dure e grida strazianti, mentre si presentano giudici, punitori e nascono cavità e recessi pieni di miriadi di mali; in questo modo la dannosa superstizione, per l’eccessiva precauzione contro tutto quanto le sembra degno di timore, si sobbarca latentemente timori di qualsiasi sorta.

Brano seguente: Plutarco, Sulla superstizione (5)


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