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Plutarco, Sulla superstizione (3)

Plutarco, Sulla superstizione (3)

Lug 29

Brano precedente: Plutarco, Sulla superstizione (2)

3. Ordunque, tutte le malattie e le passioni della psiche sono brutte; in alcune, d’altronde, vi è qualcosa di fiero, di superiore e di distinto suscitato dalla loro leggerezza; in nessuna comunque è assente uno stimolo all’azione. Anzi è esattamente questo il reclamo comune contro ogni passione: incalza e sollecita l’intelletto, forzandolo con stimoli alle esperienze pratiche. Ordunque, soltanto la paura, essendo indigente d’audacia non meno che d’intelletto, contiene l’incapacità pratica, l’inettitudine comportamentale e l’insuccesso oltre all’incapacità intellettuale. Per questo quanto incatena [sundeon] e simultaneamente turba [taratton] la psiche si denomina sia timore [deima] sia sgomento [tarbos]. Fra tutte le paure, dunque, quella più incapace nella prassi e inetta nel comportamento è la superstizione. Non paventa il mare chi non naviga, la guerra chi non milita, i predoni chi non viaggia, i sicofanti il povero, l’invidia il privato cittadino, il sisma chi è insediato tra i Galli, il fulmine chi è insediato tra gli Etiopi; ma chi teme gli dei, teme tutto: terra, mare, aria, cielo, oscurità, luce, rumore, silenzio, sogno. Gli schiavi dimenticano il padrone dormendo, il sonno alleggerisce le catene ai prigionieri, le infiammazioni per le ferite, i bruciori ferini della carne ed i dolori imperversanti si distanziano da quanti dormono;

O caro fascino del sonno alleato opposto al male, come soave a me t’approssimasti nel bisogno [Euripide, Oreste, 211-212].

Questo la superstizione non concede d’evocarlo, siccome è la sola a non stipulare una tregua col sonno, a non concedere mai alla psiche di rinfrancarsi e rincoraggiarsi allontanandosi da dottrine spinose e gravose pertinenti a Dio, tutt’altro: suscitando nel sonno dei superstiziosi, quasi perlustrando il paese degli empi, visioni orribili, apparizioni mostruose e qualunque pena e tormentando la misera psiche, l’estromette dal sonno con gli incubi, cosicché la psiche si sferza e punisce da se stessa, come se subisse da qualcos’altro, e si sottopone a prescrizioni terribili e aliene dalla normalità. Una volta destatisi, non esibiscono disprezzo né ilarità né piacere giacché nessuno dei turbamenti era veritiero, tutt’altro: fuggendo dall’ombra d’un’illusione non contenete alcun male, da svegli s’illudono nella realtà, si rovinano e si sconvolgono, immischiandosi con pezzenti e stregoni che dicono: «Altrimenti se un fantasma d’incubo paventi, e della ctonia Ecate la truppa accogliesti, chiama la vecchia fattucchiera purificatrice, immergiti in mare e disponiti a sedere in terra l’intero dì».

O Elleni, scopritori di mali barbari [Euripide, Troiane, 764],

per la superstizione: bagni nel pantano, rotolamenti nella melma, osservanza del sabato, inchini faccia a terra, comportamenti turpi, prosternazioni strane. I disciplinatori custodi della musica tradizionale imponevano ai citaredi di cantare atteggiando in modo giusto la bocca; da parte nostra giudichiamo appropriato pregare gli dei con la bocca atteggiata in modo corretto e giusto, e non ispezionare se tra le viscere delle vittime offerte la lingua sia pura e retta e dopo, distorcendo e macchiando quella nostra con nomi insensati e verbalizzazioni barbariche, contaminare e prevaricare il fondamento divino e patrio della devozione. Tra l’altro anche il poeta comico ha protestato in modo non sgradevole contro quanti cospargono d’oro e cospargono d’argento i loro letti:

Quest’unico dono che gli dei ci han dato gratis, il sonno, perché te lo riempi di spesa?

È dunque possibile provocare così anche il superstizioso: «Questo sonno, che gli dei ci hanno dato qual latenza e riposo dai mali, perché te lo rendi un purgatorio permanente e doloroso, non potendo la misera psiche assentarsi in un altro sonno?». Eraclito professa che per i desti v’è un cosmo singolo e comune, mentre ciascuno dei dormienti si ritira nel suo [fr. 89 D.-K.]. Per il superstizioso, dunque, non v’è alcun cosmo comune, siccome né da desto usa il ragionamento né dormendo si aliena da quanto turba, tutt’altro: l’intelletto sogna, mentre la paura veglia sempre, senza che vi sia possibilità di fuga o di cambiamento di stato.

Brano seguente: Plutarco, Sulla superstizione (4)


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