Plutarco, Sulla superstizione (1)
Plutarco, Sulla superstizione (1)
Lug 151. L’ignoranza e l’incomprensione per quanto concerne gli dei sin da subito, dall’esordio, sono avanzate come un duo e hanno prodotto l’ateismo nelle personalità rigide, come se fossero terreni duri, e la superstizione in quelle deboli, come se fossero terreni umidi. Ebbene, ogni singola opinione falsa è dannosa, comunque lo è senz’altro quella pertinente a questi ambiti; e se essa si presenta accompagnata da passione, è dannosissima, siccome ogni passione sembra essere un inganno infetto: proprio come le slogature degli arti sono più dolorose quando sono accompagnate da un trauma, così le distorsioni della psiche lo sono se accompagnate da una passione. Qualcuno crede che atomi e vuoto siano i principi di tutte quante le cose; questa supposizione è falsa, ma non produce ferita né palpitazione di sorta né dolore sconvolgente. Qualcuno suppone che la ricchezza sia il bene massimo: questa falsità contiene veleno, consuma la psiche, destabilizza la mente, fa svanire il sonno, riempie d’assilli, spinge giù nei burroni, strangola, toglie la parresia. Altri ancora credono che virtù e vizio siano corpi; questo sbaglio è senz’altro grave, ma non merita lamenti e pianti; ma vi sono opinioni e supposizioni quali questa:
O misera virtù, eri una parola e io ti consideravo una realtà [Diogene di Sinope fr. 3 S.],
lasciando stare «l’ingiustizia arricchisce», «l’incontinenza genera ogni piacere»; queste opinioni sono degne di compianto ed insieme di disprezzo, giacché la loro presenza immette nella psiche una pluralità di malattie e passioni, come se producesse vermi e larve d’insetti.
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