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Plotino, Enneade V 8 [31: Sulla bellezza intelligibile], 4

Plotino, Enneade V 8 [31: Sulla bellezza intelligibile], 4

Nov 15

 

 

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4. …siccome il vivere fluisce serenamente [5] là, dunque la non-latenza [: verità] è per loro sia genitrice sia nutrice sia entità [: sostanza] sia nutrimento ‒ e guardano tutte le cose, non quelle che son interessate dalla generazione [6] bensì quelle cui [appartiene] l’entità [: la sostanza] e [vedono] se stessi nelle altre cose; siccome tutte le cose son diafane e |5| nessuna è oscura né anti-permeazione, tutt’altro: ognuna e tutte son manifeste ad ognuna nel di dentro; siccome son luce davanti a luce. E difatti ognuna le ha tutte in sé stessa e a sua volta le guarda tutte in altro, cosicché son tutte dappertutto e tutto è tutto e ciascuna è ogni [altra] e infinito è lo splendore; siccome ciascuna di esse è magna, giacché anche il piccolo è magno; e il sole |10| là è tutti gli astri, e ciascuno è a sua volta il sole e tutti [gli altri]. S’esibisce dunque in ciascuno altro [: una diversità], in esso appaiono comunque anche tutte le cose.

Anche la cinesi [: il movimento] dunque è pura; ciò che sollecita [: muove] non la confonde mentre essa transita, come se sussistesse come altro da essa; e la stasi non è smossa dalla concitazione, giacché non è mescolata a quel che non è stabile; e il bello è bello, giacché non è |15| nel <non->bello. Ciascuno dunque viene avanti come occupando una terra non altrui, tutt’altro: per ciascuno ciò in cui è è se stesso, e allorché transita, come esempio, verso l’eminente il punto donde è partito corre con lui, ed egli non è altro dal suo spazio. E difatti il sostrato è nous [: intelletto] ed egli stesso [: il singolo] è nous [: intelletto]; come se qualcuno pensasse che in corrispondenza di questo cielo, |20| quello guardabile, ch’è luminoso a vedersi, questa luce emessa da lui fosse per natura gli astri.

In merito a qui quindi una parte non può generarsi [dappertutto] emergendo da un’altra parte, e ciascuno rimane solo parte; là invece ciascuno emerge eternamente dall’intero ed è simultaneamente singolo qualcosa e intero; siccome, mentre si fenomenizza come parte, l’occhiata acuta comunque guarda in lui l’intero, |25| come se qualcuno nascesse tale per occhi, quale la leggenda diceva fosse Linceo nel guardare anche negli inferi dentro la terra, in questo mito alludente per enigmi agli occhi di là. Dunque, della contemplazione di là non è propria la stanchezza né v’è riempimento saziante per il contemplante, tale da posare; siccome né v’era vuoto, sicché chi termina arrivando alla pienezza e al fine sia soddisfatto, |30| né questo ente è altro da quest’altro, sicché le proprietà dell’uno non siano favorite da un altro di quelli presenti in lui [: nell’intelletto]; non triti, ordunque, son gli enti di là. Ma v’è l’insaziabilità nel riempimento nel senso che la pienezza non produce disgusto contro quello che ha riempito; siccome guardando guarda meglio e, col riguardare se stesso e le cose che lo riguardano come infinito, segue la sua propria natura. E |35| la vita non esibisce stanchezza per nessuno, allorché sia pura; siccome quel che vive nelle maniere più valide perché mai dovrebbe stancarsi?

La vita, dunque, è sapienza, sapienza comunque non apportata dai ragionamenti, giacché eternamente [: sempre] era tutta intera e non derelitta in nulla, in maniera che abbisognasse di ricerca, tutt’altro: è la prima e non deriva da un’altra; e l’entità [: la sostanza] stessa è sapienza, ma non è che vi sia lui [: l’intelletto] e dopo il [divenire] sapiente. |40| Per questo dunque nessuna [sapienza] è maggiore e l’auto-episteme [: la scienza-stessa] occorre qui, assisa accanto al nous [: all’intelletto] pronta a comparire con lui, come dicono per imitazione [: immagine] che Dike [siede accanto] a Giove.

Difatti tutte queste cose là son come figure guardate in se stesse, cosicché sono contemplazione di supremamente beati contemplanti [7]. Quindi la maestà e la potenza della sapienza |45| si possono ravvisare [se si pensa] ciò: che ha assieme a sé e ha realizzato gli essenti, e tutti l’accompagnano, ed essa è gli essenti, e nacquero con lei, e ambedue son un singolo ente, e l’entità [: la sostanza] è la sapienza di là. D’altronde noi non siam arrivati all’obiettivo di comprenderla, giacché abbiam reputato che le scienze stabili siano teoremi e una conferenza |50| di premesse; questo comunque non occorre neanche nelle scienze stabili di qui. Se dunque a qualcuno viene da dubitare per quanto riguarda queste, le lasci andare, nel presente contesto. Per quanto riguarda invece l’episteme [: la scienza stabile] occorrente là ‒ su cui, ordunque, anche Platone, avendola riguardata, professa: Quella che non è altra in altro [8] ‒, dunque, come sia, l’ho lasciato da cercare e trovare, se per davvero |55| professiamo d’essere degni dell’appellativo di questa congrega [dei platonici] ‒, forse quindi è meglio porre l’inizio qui.

 

Note

[5] Omero, Iliade, VI, 138.

[6] Platone, Fedro, 247 d 7.

[7] Platone, Fedone, 111 a 3.

[8] Platone, Fedro, 247 d 7 – e 1.

 

La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 

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