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Plotino, Enneade V 8 [31: Sulla bellezza intelligibile], 11

Plotino, Enneade V 8 [31: Sulla bellezza intelligibile], 11

Gen 03

 

 

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11. E ancora, dunque: se qualcuno fra noi, non potendo guardare se stesso, pigliato dal soggiogamento di quel dio, trasferisce fuori lo spettacolo contemplativo al fine di vederlo, coll’occasione trasferisce fuori se stesso e mira un’icona [: immagine] di sé abbellita; rigettando invece l’icona [: immagine], per quanto bella sia, arrivando alla singolarità [: unità] con se stesso |5| e non scindendo più, è singolo e simultaneamente tutte le cose, assieme a quel dio ch’è silentemente presente, ed è assieme a lui per quanto può e desidera. Se ciononostante si rivolge al due, sinché rimane puro, ha modo d’essere occorrente al suo seguito, sicché si ripresenta a lui in quella maniera, se ovviamente si rivolge ancora a lui. Nel rivoltarsi indietro dunque ha questo guadagno: |10| all’inizio sente se stesso, sinché è altro [: diverso]; affrettandosi dunque ad andar di dentro, ha tutto e, rigettando indietro l’oggetto sensibilità, per paura d’essere altro [: diverso], è singolo [: uno] là; ciononostante, se desidera vederlo come un ente altro [: diverso], lo reifica all’esterno.

Deve dunque, apprendendo mentalmente in quanto rimane in un qualche suo tipo [: in una certa impronta dell’intelletto], assieme al |15| cercare giudicare con cognizione [16], sì da conoscere la qualità di ciò a cui ha adito, in questo modo apprendendo mentalmente con una prova fededegna che ha adito ad un’oggettività beata, e ormai donarsi all’interiorità e, anziché esser guardante, rigenerarsi già come spettacolo contemplativo per un altro [: diverso] spettatore contemplativo, lampeggiante dei pensieri quali arrivano quindi [: da lassù].

Come potrà quindi qualcuno essere nel bello non |20| guardandolo?

Già, se lo guarda come altro [: diverso] non è ancora nel bello, mentre, divenuto lui stesso [bello], in questa maniera è al meglio nel bello. Se quindi lo sguardo osserva l’esterno, [la contemplazione umana della bellezza] non deve essere sguardo se non in questa maniera, talché s’identifichi col guardato; questo dunque è come una comprensione soggettiva e un’autocoscienza, assumendosi la responsabilità di non distanziarsi dal bello coll’obbedire al desiderio di percepire meglio se stessi. Si deve |25| dunque intendere anche quello, che le percezioni dei mali fan avere piaghe maggiori, indeboliscono inoltre le conoscenze, estromesse dalla piaga del colpo; siccome una malattia, a esempio, piaga meglio, mentre la salute, essendo con noi tranquilla, può donare una migliore comprensione soggettiva di se stessa; risiede difatti presso di noi giacché ci è vicina come proprietà e s’assimila in unità [con noi]; l’altra invece è aliena e non vicina come proprietà, |30| e in questa maniera è manifesta, in questo sembrar essere fortemente altro da noi.

Comunque, le nostre proprietà e noi siam inascoltati dalla sensibilità; comunque, essendo interessati da questo, molto più di tutti siamo soggetti coscienti di noi stessi, avendo realizzato l’assimilazione [: unità] fra noi e la nostra episteme [: conoscenza]. Anche là dunque, allorché al meglio abbiam visto [: conosciamo] conformemente a nous [: intelletto], sembriamo ignorare, siccome rimaniamo in ascolto del pathos [: dell’affezione] della sensibilità, |35| che professa di non aver guardato; siccome non ha visto né potrebbe mai vedere queste talità.

Quindi l’infedele è la sensibilità, mentre l’altro è colui che ha visto; oppure, se diffidasse anche quello, allora non potrebbe fidarsi neanche del suo essere; siccome neanche lui può, fattosi esterno, mirare se stesso come ente sensibile cogli occhi, questi del corpo. |40|

 

Note

[16] Platone, Repubblica, VI, 516 e 8.

 

La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 

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