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Plotino, Enneade V 6 [24: Sul fatto che quel ch’è al di là dell’essente non pensa e che cos’è il primariamente pensante e che cosa il secondariamente], 5

Plotino, Enneade V 6 [24: Sul fatto che quel ch’è al di là dell’essente non pensa e che cos’è il primariamente pensante e che cosa il secondariamente], 5

Giu 11

 

 

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5. E poi il plurale può ricercare se stesso e desiderare d’annuire convergendo [a sé] e aver consapevolezza di sé. Ciò ch’invece è totalmente uno dove andrà relazionandosi a sé? Come abbisognerebbe mai di consapevolezza? Ma lo stesso è migliore sia della consapevolezza sia d’ogni |5| pensiero.

Infatti il pensare non è primo né nell’essere né nel valore, ma secondo e generato, giacché sussisteva il bene e muoveva il generato suscitandolo verso di sé, dunque questo suscitato si mosse e vide. E questo è pensare, movimento verso il bene nella proiezione desiderante quell’oggetto; infatti la proiezione desiderante generò il pensiero e |10| la fece sussistere con sé; la proiezione desiderante, ecco, della vista è sguardo.

Dunque il bene in se stesso non deve per nulla pensare; infatti il bene non è altro da sé. Giacché anche quando l’altro [diverso] rispetto al bene pensa esso [il bene], pensa per il fatto di essere beniforme [1] ed ha un simulacro relativo al bene e lo pensa come bene e siccome è divenuto oggetto desiderabile per sé |15| ed afferra come un’immagine del bene. Se dunque è eternamente [sempre] in questo modo, questo eternamente [sempre pensa il bene]. Ecco infatti che, ancora, nel pensiero di esso per accidente pensa se stesso; infatti, guardando verso il bene, pensa se stesso. Pensa infatti a sua volta se stesso nell’attivarsi; ordunque, l’attività di tutti nel loro insieme si relaziona al bene.

 

Note

[1] Platone, Repubblica, Γ, 509 a 3.

 
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 
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