Plotino, Enneade V 5 [32: Che gli intelligibili non son all’esterno dell’intelletto e intorno al bene], 13
Plotino, Enneade V 5 [32: Che gli intelligibili non son all’esterno dell’intelletto e intorno al bene], 13
Ott 18
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13. Lui doveva dunque anche, essendo il bene-stesso e non un bene, non avere in se stesso nulla, giacché [non aveva] neanche un bene. Difatti, ciò che avrà, l’avrà o come bene o come non-bene; d’altronde né nel bene, ovvero nel propriamente e primariamente bene, v’è il non-bene né il bene |5| ha il bene.
Se quindi non ha né il non-bene né il bene, non ha nulla; se quindi «non ha nulla», è rimasto solo e isolato [11] dalle altre cose. Se quindi le altre cose o sono buone, e non il bene, o non sono buone, mentre [lui], neutro, non ha nessuna di queste due determinazioni, non avendo nulla, è il bene in questo non avere nulla.
Se, ordunque, gli si fa l’aggiunta d’un qualcosa qualunque, |10| o entità [: sostanza] od intelletto o bello, facendo quest’aggiunta s’abolirà il suo essere il bene. Astraendo allora da tutte le cose e non evocando nulla per quanto concerne esso né enunciando falsamente che qualcosa è presso di lui, si permette solo l’«è», non attestando alcunché sulle cose che non gli son presenti, come coloro che producono elogi nonostante l’imperizia, i quali diminuiscono |15| il decoro degli elogiati qualificandoli con attributi che sono da meno rispetto al valore occorrente in essi, importunati dall’aporia di evocare enunciati non-latenti [: veri] per quanto concerne i soggetti che si trovano in persona sotto i loro occhi.
Quindi anche noi non qualifichiamolo coll’aggiunta di nessuna delle cose posteriori e di quelle da meno, tutt’altro: [crediamo] che egli, svettando in un ambito al di sopra di queste cose, sia la causa di queste non essendo altresì |20| identico a queste.
Sì già, la natura del bene è siffatta che non è tutte le cose e neanche, d’altra parte, qualcosa di singolo [: una] fra tutte loro, siccome allora sarebbe sussumibile sotto un genere singolo [: unico] e identico assieme a tutte le cose; essendo dunque sussunta in un genere identico a tutte le cose, per differenziarsi le rimarrebbe solo la propria peculiarità e differenza e qualificazione aggiuntiva. Sarà allora due, non un singolo, due dei quali l’uno sarebbe non-bene, quel ch’è comune, l’altro invece bene. |25| Misto allora sarà, esito di bene e non-bene; non sarebbe allora puramente né primariamente bene, bensì lo sarebbe primariamente quello, avendo parte del quale [il bene per partecipazione] è divenuto bene, oltre quel ch’è comune. Per partecipazione, ordunque, esso è bene; invece ciò di cui [quest’ultimo] partecipa non è nessuna di tutte le cose.
D’altronde, se questo bene è in esso [: in ciò che è bene per partecipazione] |30| ‒ siccome è la differenza [specifica], conformemente a cui questo composto sintetico sarebbe bene ‒, gli deve essere derivato da altro. Esso dunque era semplice e rimaneva solo bene; appieno allora rimaneva solo bene questo da cui derivava.
Ordunque, il primariamente principio, ovvero il bene, è apparso a noi al di sopra di tutti gli essenti, rimasto solo bene, e non avente nulla in se stesso, |35| bensì immisto nei confronti di tutti e al di sopra di tutti e causa di tutte le cose.
Ordunque, né il bello-bene né gli essenti emergono dal male e neanche d’altra parte emergono da indifferenti, siccome quel che produce è più esimio di quel ch’è prodotto: è più perfetto, ecco.
Note
[11] Platone, Filebo, 63 b 7-8.
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.
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