Plotino, Enneade V 5 [32: Che gli intelligibili non son all’esterno dell’intelletto e intorno al bene], 1
Plotino, Enneade V 5 [32: Che gli intelligibili non son all’esterno dell’intelletto e intorno al bene], 1
Ago 30
1. Orbene, qualcuno potrebbe forse professare che l’intelletto, l’intelletto vero e ontologicamente essente, s’inganni qualche volta e ammetta nella sua dottrina i non-essenti? In nessun modo. E difatti come potrebbe esser ancora intelletto se fosse inintelligente? Occorre allora ch’egli eternamente abbia visto [: sempre sappia] e non oblii nella latenza in alcuna occasione, dunque che la sua visione [: il suo sapere] |5| non sia da congetturante né dubbioso e neppure che [l’abbia ricevuto] da un altro, come avendolo ascoltato. Sicché non può aggiudicarsi [la conoscenza] neppure mediante dimostrazione. Eh già, difatti, se qualcuno professasse che s’aggiudica una qualche [conoscenza] mediante dimostrazione, comunque gli sarebbe essenziale una qualche altra [conoscenza] illuminata [: evidente] di per se stessa. Anche se il ragionamento professa appunto che ogni [conoscenza è evidente di per sé]; giacché, come si distinguono le [cose evidenti] di per se stesse dalle non autoevidenti?
D’altronde, donde professeranno che l’illuminamento di queste cose, che convengono concordemente |10| esser evidenti di per se stesse, gli [: all’intelletto] si presenti? A che dunque dovrà la fede che v’ha questo? Giacché anche degli oggetti della sensibilità, che appunto sembrano esibire l’affidabilità più illuminata, non ci si fida, siccome forse hanno quella che sembra la lor sussistenza non nei sostrati bensì nelle affezioni |15| e s’abbisogna dell’intelletto o della dianoia [: ragione discorsiva], i quali discernano [: giudichino]; giacché, anche se si sia convenuto concordemente che sono nei sostrati sensibili, la cui percezione sarà prodotta dalla sensibilità, ciononostante l’oggetto conosciuto mediante la sensibilità è idolo del pragma [: è immagine della cosa] e la sensibilità non afferra il pragma stesso [: la cosa stessa], siccome quello rimane all’esterno. |20|
Ordunque, l’intelletto conoscente, ovvero conoscente gli intelligibili, se li conosce come essenti altri [: diversi da sé], come mai incontrerà proprio essi? È ammissibile difatti che non li incontri, cosicché è ammissibile che non conosca o [li conosca] allora quando li incontri, sicché non sempre avrà la conoscenza. Se invece professeranno che [l’intelletto e gli intelligibili] si congiungono, che cos’è questo congiungersi? Dopodiché anche i pensieri saranno tipi [: impronte]; |25| se dunque v’ha questo, allora saranno occasionali [: d’accatto] e piaghe [: urti corporei]. E come saranno dunque improntati [i pensieri] oppure quale sarà la forma di tali impronte? Anche la noesi [: il pensiero] penserà l’esterno, come accade per la sensibilità. Sicché in che differirà se non dinnanzi al percepire le cose più piccole? Come dunque anche riconoscerà ciò, d’essere davanti a una percezione ontologica [: della realtà]? Come dunque [saprà] che questo è buono o che è bello o |30| giusto? Difatti ciascuna di queste cose sarà altra [: diversa] da lui e non saranno in lui i principi della discriminazione [: del giudizio] cui s’affiderà, tutt’altro: anche questi saranno all’esterno, e la non-latenza [: verità] sarà là.
Inoltre, anche quelli [: gli intelligibili] o sono insensibili, e impartecipi di vita e d’intelletto, o hanno intelletto. E, se hanno intelletto, ambedue, sia il non-latente [: vero] di questo posto qui sia questo intelletto primo, son adesso assieme, |35| e occupandoci di questo [intelletto] ricercheremo come deve esser la non-latenza [: verità] di qui, e se l’intelligibile e l’intelletto son nell’intelletto e assieme, pur essendo due e altri [: diversi], o come. Se invece son inintelligenti e privi di vita, che enti sono? Siccome non saranno, ordunque, protasi [: premesse], né assiomi [: giudizi] né enunciati, siccome anch’essi enuncerebbero ormai [qualcosa] per quanto concerne altri, e |40| non sarebbero essi stessi gli essenti, come [nell’enunciato:] «il giusto è bello» il giusto e il bello sono altro [: diversi dall’enunciato].
Se invece considereranno [termini] semplici, il «giusto» e il «bello» separatamente, per prima cosa l’intelligibile non sarà qualcosa di singolo [: di unitario] né sarà in un singolo [: in un’unità], tutt’altro: ciascun [elemento sarà] diviso. E dove e in quali luoghi si sarà diviso? Come dunque l’intelletto incontrerà essi [gli intelligibili], |45| peregrinando? Come dunque permarrà? O come permarrà nell’identico? Dunque, in generale, quale forma o tipo [: impronta] avrà? A meno che [gli intelligibili] non vi siano esposti come per esempio statue auree o di qualche altra materia sostrato prodotte da qualche scultore o pittore. D’altronde, se è questo, l’intelletto guardante teoreticamente [: contemplante] sarà sensibilità. Perché dunque, fra tali enti, l’uno è |50| giustizia, l’altro invece qualcos’altro?
[L’argomento] massimo, dunque, tra tutti, eccolo: se qualcuno concedesse, e anche al meglio, che questi [intelligibili] siano esterni e l’intelletto li guardi teoreticamente [: contempli] esibire questa loro condizione, gli [: all’intelletto] sarà necessario non avere il non-latente [: vero] di essi, dunque ingannarsi sull’insieme di tutte le cose che guarda teoreticamente [: contempla], giacché le non-latenze [: verità] sarebbero quelle; allora le guarderà teoreticamente [: contemplerà] |55| non avendole, assumendo dunque idoli [: immagini] di esse in tale conoscenza. Non avendo allora il non-latebroso [: verace], bensì assumendo presso di sé idoli [: immagini] del [non-latebroso], avrà i falsi ingannevoli e nessun vero non-latente. Se quindi avrà veduto [: saprà] d’avere i falsi ingannevoli, concorderà colla lettura dell’insieme degli argomentatori in merito all’essere impartecipe della non-latenza [: verità]; se invece ignorerà anche questo e |60| crederà d’avere il non-latente [: vero] pur non avendolo, il duplice inganno generatosi in lui lo distanzierà molto dalla non-latenza [: verità]. A causa di questo, difatti, anche nelle sensazioni, credo, non v’è non-latenza [: verità], bensì opinione, giacché [l’opinione] è ricettiva e a causa di questo, essendo opinione, riceve altro [: qualcosa di diverso] da quell’altro essente per effetto di cui |65| ha quel che riceve. Se quindi non v’è non-latenza [: verità] nell’intelletto, questo, un cotale intelletto, non sarà né non-latenza [: verità] né intelletto in non-latenza [: verità] né in generale sarà intelletto. Ma allora la non-latenza [: verità] non sarà neanche in alcun’altra ubicazione.
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.
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