Plotino, Enneade V 4 [5: Come dal primo vien quel ch’è dopo il primo e intorno all’uno], 2
Plotino, Enneade V 4 [5: Come dal primo vien quel ch’è dopo il primo e intorno all’uno], 2
Mag 30
Brano precedente: Plotino, Enneade V 4 [5: Come dal primo vien quel ch’è dopo il primo e intorno all’uno], 1
2. Se quindi il generante fosse esso stesso nous [: intelletto], dovrebbe essere più indigente del nous [: dell’intelletto], piuttosto accosto comunque al nous [: all’intelletto] e simile [a lui]; giacché all’opposto il generante è al di là del nous [: dell’intelletto], che [il generato] sia nous [: intelletto] è necessità. A causa di che dunque [il generante] non è nous [: intelletto], la cui energia [: il cui atto] è noesi [: pensiero]?
La noesi [: il pensiero], dunque, guardando l’intelligibile e a |5| quest’oggetto volgendosi e da quello come assolutamente perfezionata, è aorista [: indeterminata] di per se stessa come un’occhiata, mentre è definita dal sostrato intelligibile guardato; dalla diade aorista [: dualità indefinita] e dal singolo [: dall’uno] emergono gli eidē [: le forme] e i numeri; questo difatti è nous [: intelletto]. Perciò [l’intelletto] non è semplice, tutt’altro: è più [: molti], indicando una sintesi [: composizione], |10| intelligibile dunque, e guardando già più [determinazioni]. È quindi anch’egli stesso un intelligibile, ma anche pensante; perciò è già due. È dunque anche altro [dall’uno] in questo: è intelligibile dopo di esso. D’altronde, come vien dall’intelligibile questo nous [: intelletto]? L’intelligibile, rimanendo ostinatamente di per se stesso e non essendo indigente come il guardante e il pensante ‒ leggo dunque come indigente il pensante in relazione a quello ‒, |15| non è come insensibile, tutt’altro: sono sue tutte le cose in esso e con esso, è totalmente diacritico di [: distingue pienamente] se stesso, v’è vita in esso e tutte le cose son in esso, e la sua comprensione intellettuale è esso stesso, [comprensione intellettuale] ch’è come una coscienza in stasi eterna e una noesi [: un pensiero pensante] altrimenti dalla noesi [: dal pensiero] conforme al nous [: all’intelletto].
Se quindi, rimanendo esso [: l’uno] in se stesso, qualcosa |20| si genera, questo [: l’intelletto] si genera da esso allorché quello [: l’uno] sia al meglio ciò che è. Quindi allorché esso rimane nel proprio sé [4] il generato si genera emergendo da esso, si genera dunque mentre esso rimane [in sé]. Giacché quindi quello [: l’uno] rimane intelligibile, il generato diviene noesi [: pensiero]; essendo dunque noesi [: pensiero] e pensando ciò da cui s’è generata ‒ siccome altro non |25| ha ‒, diviene nous [: intelletto], come un altro intelligibile e quale quello e imitazione [: figura] e idolo [: immagine] di quello.
D’altronde, come si genera [l’intelletto], rimanendo quello [in se stesso]? Beh, v’è questa energia dell’entità [: un atto che appartiene alla sostanza] e quest’altra energia emergente dall’entità [: dalla sostanza] di ciascuna cosa; e quella dell’entità [: della sostanza] è ciascuna cosa stessa qual energia [: atto], e v’è comunque l’altra, ch’è derivata da quella [: dalla sostanza] e che di necessità deve conseguire a ogni cosa, |30| essendo altra [: diversa] da essa; come anche occorrendo il fuoco v’è questo calore che compie l’entità [: la sostanza], e inoltre v’è quest’altro generato ormai da quella [: dalla sostanza], mentre quello [: il fuoco] mette in funzione l’atto connaturato al’’entità [: alla sostanza] nel permanere fuoco.
In questo modo avviene dunque anche là; e molto più pristinamente, giacché là esso rimane nel proprio sé [5], l’energia [: l’atto] ch’è stato generato, una volta assunta sussistenza per effetto della perfezione in esso [: nell’uno] |35| e dall’energia [: atto] ch’è con esso, giacché esito di magna potenza, la massima bensì nell’insieme di tutte, arriva all’essere e all’entità [: alla sostanza]; siccome quello era al di là dell’entità [: essere] [6]. E quello [: l’uno] è potenza di tutte le cose, mentre questo [: l’intelletto] è già tutte le cose. Se dunque questo è tutte le cose, quello è al di là |40| di tutte le cose; è al di là, allora, dell’entità [: essere]; e se [l’intelletto è] tutte le cose, il singolo [: l’uno] è prima, ordunque, di tutte, non avendo uguaglianza con tutte queste, e in questa maniera dev’essere al di là dell’entità [: essere]. Questo dunque è anche [al di là] del nous [: dell’intelletto]; v’è allora qualcosa al di là del nous [: dell’intelletto]. L’essente difatti non è cadavere né non-vita né non-pensante; il nous [: l’intelletto], dunque, e l’essente son lo stesso. Siccome il nous [: l’intelletto] non pensa i pragmata [: le cose] ‒ come |45| la sensibilità percepisce i sensibili ‒ pre-essenti, tutt’altro: lui stesso, il nous [: l’intelletto] è i pragmata [: le cose] [7], perché non riceve gli eidē [: le forme] di essi. Donde difatti [potrebbe ricevere queste forme]? Altroché se qui [l’intelletto] è assieme coi pragmata [colle cose] e identico a esse e singolo [: uno con loro]; anche l’episteme [: la scienza] degli immateriali, ordunque, è i pragmata [: le cose].
Note
[4] Platone, Timeo, 42 e 5-6.
[5] Platone, Timeo, 42 e 5-6.
[6] Platone, Repubblica, VI, 509 b 9.
[7] Aristotele, Dell’anima, Γ 4, 430 a 3-4 e 7, 431 a 1-2.
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.