Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 4
Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 4
Apr 20
Brano precedente: Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 3
4. Non si deve dunque ritenere che questa (1) convenga accidentalmente dall’esterno a quella natura (2), tutt’altro: è quella, emana da quella ed è con quella. È veduta, infatti, nel suo essere presso di essa, giacché anche tutti quanti gli altri enti che giudichiamo siano là, vedendoli inerenti, li giudichiamo [5] tutti assieme emanati dall’essenza e con l’essenza. I primariamente essenti, infatti, devono essere con i primi e nei primi; sicché anche il bello è in essi ed emana da essi e anche la verità è in essi. E mentre gli uni son come in una parte dell’essente totale, gli altri son in tutto, cosicché questo tutto per vero non [10] è composto dalle parti, tutt’altro: esso genera le parti per essere anche in questa maniera veramente tutto. Dunque la verità là non è accordo con altro, tutt’altro: è di ciascun ente di cui è verità. Dunque questo tutto, quello verace, deve, se per davvero è ontologicamente tutto, non solo essere tutto in quanto è tutte le cose, ma anche avere il tutto [15] dimodoché non manca di nulla. Se è questo, per esso non sarà alcunché: se, infatti, sarà, sarebbe mancante di questo; allora non sarebbe tutto. Contro natura, dunque, che cosa potrebbe avvenirgli? Non patisce, infatti, nulla. Se quindi nulla può avvenirgli, né è in procinto di essere né sarà né è stato. Ebbene, se ai generati si togliesse il “sarà”, giacché [20] lo acquistano ad ogni occasione, subito subirebbero il non essere; invece, se a quelli che non son tali (3) si aggiungesse il “sarà”, subirebbero il cadere dal seggio dell’essere: è chiaro infatti che l’essere non era ad essi connaturato se si generassero nel futuro e si fossero generati e saranno posteriormente. Si rischia, infatti, che per i generati l’[25]essenza (4) sia l’essere dal principio della generazione sin quando si getta all’estremo del tempo, in cui non è più, questo, dunque, è lo “è” e, se lo si togliesse da essi, diminuirebbe la vita vissuta, così come l’essere. Così anche questo tutto (5) ha bisogno di ciò per cui sarà. Perciò s’affretta ad essere nel futuro [30] e non vuole sostare, attrae a sé l’essere nel fare ora qualcosa ora qualcos’altro e si muove circolarmente incitato come dall’obiettivo dell’essenza (6); sicché è stata da noi trovata anche la causa del movimento, il qual s’affretta in questo modo verso l’obiettivo d’essere sempre mercé il futuro. Per i primi e beati, invece, non v’è proiezione sul futuro: infatti già [35] sono l’intero ed hanno per loro tutto il vivere come fosse loro dovuto, cosicché non cercano alcunché, poiché il futuro per essi non è nulla e neppure quello in cui il futuro è. Quindi l’essenza (7) compiuta ed intera dell’essente, non solo quella nelle parti, ma anche quella in cui nulla manca ancora ed [40] in relazione alla quale non può generarsi nulla che ancora non è ‒ infatti non solo tutti gli essenti devono esser presenti all’intero ed al tutto, ma non deve neanche esservi nulla di non essente in qualche tempo ‒ orbene, questa sua costituzione e natura sarebbe l’eternità: “eternità” (8), infatti, deriva da questo: ”sempre essente” (9).
Note
(1) L’eternità.
(2) Il cosmo intelligibile.
(3) Agli enti ingenerati.
(4) L’essere.
(5) L’universo sensibile.
(6) L’essere.
(7) L’essere.
(8) Aiṓn.
(9) Aei ón.
La traduzione dal greco si basa sull’editio minor Henry-Schwyzer: Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Oxford 1064-82 (1964, pp. 337-361).
Brano seguente: Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 5