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Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 3

Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 3

Apr 13

 

 

Brano precedente: Platino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 2

 

3. Che cosa, orbene, sarebbe questo, conformemente a cui argomentiamo che tutto il cosmo di là è eterno e perpetuo, e che cos’è la perpetuità, sia che sia identica alla e lo stesso dell’eternità, sia che l’eternità sia conforme ad essa? Dobbiamo forse, ecco, concepirla come qualcosa di conforme all’unità, peraltro come un qualche pensiero composto di molte note, [5] oppure come una natura che o segue quelli di là o è con loro od è vista in loro, tutte queste cose dunque essendo lei che, pur essendo unica, può più cose ed è più cose? Colui che, ecco, n’osserva la plurale potenza la definisce essenza (1) conformemente a questa qualità qui di sostrato, oppure movimento, siccome [10] guarda questo come vita, oppure stasi per il fatto che resta totalmente nello stesso modo, alterità dunque ed identità, in quanto queste cose son insieme una. Dunque, una volta ricondottele ad unità cosicché vi sia insieme una sola vita, restringendo in loro l’alterità, e vedendo l’incessabilità dell’atto e l’identico e mai altro ed il pensiero o vita non scorrente dall’una all’altra [15], bensì quel ch’è nello stesso modo e sempre inesteso ‒ vedendo tutte queste cose vede l’eternità vedendo vita immanente nell’identico avente sempre presente il tutto, non già adesso questo ed un’altra volta altro, bensì assieme tutte le cose, e non adesso una cosa ed un’altra volta un’altra, bensì perfezione individua, come in un punto in cui son insieme tutti [20] gl’enti e non procedono mai verso l’efflusso, tutt’altro: immanendo nell’identico in sé e non cangiando mai, essendo dunque nel presente sempre, giacché nulla in esso è passato né si genererà, tutt’altro: esso è ciò che è, e questo è; sicché l’eternità è non il sostrato, bensì come l’irraggiamento uscente da esso, il sostrato, [25] conformemente all’identità che enuncia non per il futuro, ma per l’essente che è già, cosicché è così e non altrimenti. Che cosa, ecco, potrebbe mai avvenire ad esso dopo, che non sia adesso? Neppure ci sarà dopo, che non sia già: non v’è infatti momento a partire da cui s’arriverà all’adesso: quello infatti non era altro, [30] bensì questo. Né vi sarà futuro che adesso non abbia, di necessità; neppure lo “era” avrà per sé: che cos’è infatti ciò che era per essa ed è passato? Neppure il “sarà”: che cosa infatti sarà per essa? Rimane dunque che questo (2) sia nell’essere che è. Ebbene, ciò che né era, né sarà, ma è soltanto, [35] che stabile ha questo essere nel non cangiare verso il “sarà” e nel non esser neanche cangiato, è l’eternità. Risulta allora questa vita pertinente all’essente nell’essere insieme intera e piena totalmente inestesa ‒ questo è ciò che dunque cerchiamo ‒ l’eternità.

 

Note

(1) Nel senso forte d essere, sostanza.

(2) L’eternità.

 

La traduzione dal greco si basa sull’editio minor Henry-Schwyzer: Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Oxford 1064-82 (1964, pp. 337-361).

 

Brano seguente: Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 4

 


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