Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 12
Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 12
Mag 29
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12. E quindi si deve pensare che questa natura (tempo), la dimensione d’un vissuto tale che procede in mutamenti uniformi e simili, procedenti in silenzio, ha continuità nell’atto. Ordunque, se, col logos, faremo invertire questa [5] potenza e poseremo questo vissuto che adesso ha, che è senza posa e mai è finito, giacché è atto d’un quid (anima) sempre essente, non in relazione a se stesso né in se stesso, ma impegnato in produzione e generazione ‒ ebbene, se ipotizziamo che non sia più attiva, ma abbia posato questo atto ed [10] abbia rivolto anche questa parte dell’anima all’obiettivo aldilà ed all’eterno e permanga in quiete, che cosa, allora, ci sarebbe oltre l’eternità? Che sarebbe, dunque, l’altro e ancora altro se tutti gli enti rimanessero in unità? E che sarebbe, dunque, il prima? Che sarebbero, dunque, il posteriore ed il futuro? E verso quale altro obiettivo, dunque, si lancerebbe l’anima se non verso ciò in cui è? Meglio, dunque, neanche [15] verso questo: se ne sarebbe distanziata infatti prima, al fine di lanciarsi verso l’obiettivo. Ovviamente neppure la sfera (1) stessa sarebbe, che non sussiste primitivamente: anche questa, infatti, sia è sia si muove nel tempo; anche se si fosse arrestata, mentre quella (2) agisce noi misureremmo quant’è la sua stasi sinché quella è all’esterno dell’eternità. Se quindi quando [20] quella si distanzia e si riunifica (3) è tolto il tempo, è chiaro che il principio di questo movimento verso questi (4) e questo vissuto generano il tempo. Perciò si dice anche ch’è nato assieme a questo tutto (5), giacché l’anima generò esso concomitantemente con questo tutto. In tale atto, infatti, è stato generato anche questo tutto; [25] e quello è il tempo, mentre questo è nel tempo. Se dunque qualcuno argomentasse che egli (6) definisce tempo anche le rivoluzioni degli astri, rammemori che professa che questi son nati per la manifestazione e la distinzione del tempo ed al fine d’essere misura illustrativa (7). Giacché infatti non era possibile all’anima determinare il tempo stesso né misurare [30] da parte loro (8) da se stessi ciascuna parte di esso, giacché è invisibile ed inafferrabile e soprattutto giacché non sapevano contare, crea (9) giorno e notte, mediante i quali era possibile afferrare, coll’alterità, il due, da cui il concetto, professa (10), di numero. Se afferravano l’intervallo da una levata al ripetersi era possibile afferrare il quanto dell’estensione di tempo, uniforme [35] essendo questa specie di movimento su cui c’appoggiamo, e usiamo tale estensione come misura, misura, dunque, del tempo: il tempo in sé, infatti, non è misura. Come, infatti, potrebbe misurare e forse che potrebbe argomentare, misurando: “Questo tot è tanto quanto un mio tot”? Chi è, ebbene, questo io? Forse ciò conformemente a cui si fa la misurazione. Quindi, essendo al fine di misurare, [40] non è anche misura? Il movimento del tutto (11), quindi, sarà misurato conformemente al tempo, eppure il tempo non sarà misura del movimento per essenza ma per accidente: essendo in primis qualcos’altro, esibirà la manifestazione della quantità del movimento. Dunque, un movimento unico preso in considerazione in un tot di tempo, contato più volte, [45] condurrà al concetto di quanto tempo è passato, cosicché, se qualcuno argomentasse che il movimento e la rivoluzione, in qualche modo, misurano il tempo, per quanto possibile, siccome manifestano nella loro quantità la quantità del tempo, che non è possibile afferrare né comprendere altrimenti, non argomenterebbe un’assurdità. Il tempo, quindi, sarà quel ch’è misurato [50] dalla rivoluzione ‒ questo, dunque, è quel ch’è manifestato ‒ non generato dalla rivoluzione, bensì manifestato; ed in questo modo la misura del movimento è quel ch’è misurato da un movimento determinato e, misurato da questo, è altro da esso; e se misurando era altro (12), anche come misurato [55] è altro, è misurato dunque per accidente. E se si giudica questo è come se qualcuno giudicasse che la magnitudine è quel ch’è misurato dal cubito non definendo che cosa mai sia quella e come se qualcuno, non potendo delucidare il movimento in sé per la sua indeterminatezza, lo giudicasse quel ch’è misurato dallo [60] spazio: se infatti si prende in considerazione lo spazio che il movimento ha percorso, allora si potrebbe dire che è tanto quanto lo spazio.
Note
(1) La sfera celeste.
(2) L’anima.
(3) All’eternità.
(4) Questi: le cose sensibili.
(5) Del tutto: dell’universo.
(6) Platone, Timeo 39 d 1.
(7) Cfr. Platone, Timeo, 38 c 6; 39 b 2.
(8) Da parte loro: da parte degli uomini.
(9) Sottinteso: il Demiurgo, la divinità che determina l’informe matrice spaziale imitando le forme paradigmatiche delle Idee.
(10) Cfr. Platone, Timeo, 39 b6-c 1.
(11) Tutto: universo.
(12) Era altro: era diverso dal misurato.
La traduzione dal greco si basa sull’editio minor Henry-Schwyzer: Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Oxford 1064-82 (1964, pp. 337-361).
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