Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 11
Plotino, Enneade III 7 (45: Su eternità e tempo), 11
Mag 25
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11. Noi dobbiamo dunque elevarci ancora a quella disposizione che argomentavamo interessare l’eternità, a quella vita indistorcibile e tutta simultanea e già infinita e totalmente indeclinabile e stante nell’Uno ed in relazione all’Uno. Il tempo, dunque, [5] ancora non era, o, ecco, non era per loro (1), genereremo dunque il tempo col logos e colla natura del poi. Dunque, giacché questi rimangono in quiete in sé, in quale modo dunque cadde il tempo? Ebbene, non si possono evidentemente chiamare le Muse, che allora non erano ancora, ad evocare questo; d’altronde forse ‒ anche se per davvero ci fossero state anche le Muse allora ‒ [10] ordunque si potrebbe piuttosto chiamare il tempo stesso, ch’è nato, ad evocare come è apparso ed è nato. Potrebbe dunque dire, per quanto concerne sé, in qualche modo questo: che prima, prima che avesse generato, dunque, il prima ed avesse abbisognato del poi, riposava nell’essente, con esso, non essendo tempo, ma anch’esso rimaneva in quiete in quello. [15] Configurandosi, dunque, una natura affaccendata e vogliosa d’autogovernarsi e d’essere di sé stessa ed optante per il cercare più del presente, essa si mosse, si mosse dunque anch’esso, e, muovendoci verso l’occasione sempre al di là ed il poi ed il non identico ma altro ed ancora altro, avendo fatto un tratto del cammino, [20] foggiammo il tempo, immagine dell’eternità (2); giacché, ecco, era propria dell’anima una potenza non quieta, desiderosa dunque di trasferire ad altro continuamente quel ch’era là guardato, non gradiva che questo (3) le fosse presente tutto assieme; come, dunque, da un seme quieto il logos, svolgendosi, crea, come si crede, l’esodo verso il molteplice, [25] facendo sparire il molteplice nella partizione e, anziché conservare l’unità in esso, danneggiando l’unità (non più in esso) procede verso una dimensione più debole, così, ordunque, anch’Gessa, creando, ad imitazione di quello (4), il cosmo sensibile, mosso non del movimento di là, bensì di uno simile a quello di là e desiderante d’essere immagine di quello, dapprima [30] temporalizzò se stessa, producendo questo (5) anziché l’eternità, ed in seguito ha reso il generato asservito al tempo, avendolo fatto essere tutto nel tempo rinchiudendo in esso tutte le sue escursioni: muovendosi, infatti, in lei ‒ non v’è, infatti, per esso, per questo tutto (6), alcun altro luogo se non l’anima ‒ [35] si muoveva anche nel tempo di lei. Essa, infatti, esibendo un atto dopo l’altro, e ripetendo l’attuazione di altro in successione seriale, generava, oltre all’atto, la successione e produceva con un pensiero diverso dopo l’altro quel che prima non era, giacché né il pensiero era attuato né la vita d’adesso [40] è simile a quella prima di essa. Quindi la vita era altra e simultaneamente questo esser “altra” aveva un tempo altro. Ebbene, la distensione della vita occupava tempo ed il procedere sempre della vita occupava sempre ancora tempo e la vita passata occupava tempo passato. Se quindi qualcuno argomentasse che il tempo è la vita d’un’anima in movimento diveniente in trapasso che esce da un vissuto pervenendo ad un altro, [45] non argomenterebbe allora qualcosa di degno? Se infatti eternità è vita in stasi e nell’identità e sempre-se-stesso-così-com’è e già infinita, e dunque il tempo deve essere immagine dell’eternità, come vale per la relazione che questo tutto ha con quello, al posto della vita di là si deve argomentare che c’è un’altra vita, quella propria di questa potenza dell’anima, argomentando che è vita per omonimia, [50] ed al posto del movimento intellettuale il movimento di una qualche parte dell’anima; al posto, dunque, d’identità ed essere-sempre-se-stesso-così-com’è e permanere quel che non permane nell’identico e dunque agisce altrimenti e poi altrimenti; al posto, dunque, dell’inesteso e dell’uno l’immagine dell’uno, l’uno in continuità; al posto, dunque, del già infinito e dell’intero la relazione, che va all’infinito, [55] d’eterna successione; al posto, dunque, dell’intero tutto insieme compatto l’intero che sarà composto di parti e sarà sempre futuro. In questo modo, infatti, imiterà il già intero e tutto insieme compatto e già infinito, se aspirerà ad essere nell’acquisto sempre aggiuntivo di essere; ed ecco che in questo modo il suo essere imiterà quello di là. Non si deve comunque assumere dall’esterno dell’anima il [60] tempo, come neppure l’eternità di là esternamente all’essente, e non è neanche conseguenza né posteriore, come non avviene neanche per l’eternità di là, ma è guardato nell’anima ed è in essa ed è con essa, come avviene anche là per quanto riguarda l’eternità.
Note
(1) Loro: gli esseri intelligibili.
(2) Cfr. Platone, Timeo, 37 d 5.
(3) L’essere intelligibile.
(4) Di quello: del cosmo intelligibile.
(5) Questo: il tempo.
(6) Questo tutto: il cosmo sensibile.
La traduzione dal greco si basa sull’editio minor Henry-Schwyzer: Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Oxford 1064-82 (1964, pp. 337-361).
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