Plotino, Enneade I 6 [1: Sul bello], 9
Plotino, Enneade I 6 [1: Sul bello], 9
Mar 05
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9. Che vede quindi quella vista interiore? Beh, appena svegliata è totalmente incapace di vedere gli enti splendidi [32]. Bisogna quindi assuefare l’anima stessa a vedere per prima cosa le belle occupazioni; successivamente le realizzazioni belle, non quante realizzano le tecniche, bensì quante realizzano gli |5| uomini, quelli giudicati buoni; successivamente vedi l’anima di coloro che hanno realizzato queste belle realizzazioni [33].
Ma come potrai vedere quale bellezza abbia un’anima buona? Ritorna in te stesso e vedi; e se non ti vedi ancora bello, agisci come agisce uno sculture con una statua che deve divenire bella: da una parte toglie, dall’altra raschia, dall’altra leviga, dall’altra |10| ripulisce, sinché sulla statua non si mostra un bel volto; così anche tu togli quanto è superfluo e raddrizza quanto è storto, quanto è buio, purificandolo, fa sì che sia splendido e non posare lo scolpire la tua statua [34] sinché non risplenderà in te la divina a vedersi brillantezza della virtù, sinché non veda |15| la temperanza basarsi su un puro basamento [35].
Se sei divenuto questo e lo vedi, vivi puro con te stesso non avendo nulla che t’impedisca di divenire in questo modo uno né avendo con te qualcos’altro di mescolato all’interno, ma sei rimasto tu stesso per intero una sola vera luce, non misurata da magnitudine né circoscritta da uno schema adibito al rimpicciolimento |20| e neppure aumentabile in magnitudine per infinitezza, ma del tutto non misurabile, come se fosse maggiore d’ogni misura e più gagliarda d’ogni quantità; se vedi te stesso divenuto questo, divenuto ormai visione, rivenuto in alto e non avente più bisogno di colui che indica la via, intento vedi: questo |25| solo, ecco, è l’occhio che vede la grande bellezza.
Se invece va alla contemplazione cisposo di cattiveria e non purificato o debole, per mancanza di vigore incapace di vedere gli enti assai splendidi, non vede nulla, neppure se un altro presente indicasse quel che si può guardare. Il guardante, infatti, deve mettersi a contemplare dopo essersi reso congenere e simile all’oggetto guardato. |30| Infatti l’occhio non potrebbe giammai vedere il sole se non fosse stato generato solare [36], né l’anima potrebbe vedere il bello se non divenisse bella.
Ognuno dunque divenga prima tutto deiforme e tutto bello se intende contemplare dio ed il bello. Rivenendo in alto, ecco, prima arriverà all’intelletto |35| e li saprà che tutte le idee son belle e professerà che questa è la bellezza, le idee: tutte le cose, infatti, son belle grazie a tali enti, alla progenie dell’intelletto e dell’essenza. Quel che dunque è al di là di questo, lo definiamo la natura del bene [37] avente il bello come schermo messo prima di essa. Cosicché, con un giudizio generale, lo si definirà il bello primario; |40| dividendo, invece, gli intelligibili, si professerà che, mentre il bello intelligibile è il luogo delle idee, il bene il quale è al di là è sia fonte sia principio del bello [38], oppure s’identificheranno il bene ed il bello primario; comunque, là è il bello [39].
Note
[32] Cfr. Platone, Repubblica, VII, 515 e – 516 a.
[33] Cfr. Platone, Simposio, 210 b – c.
[34] Cfr. Platone, Fedro, 252 d 7.
[35] Cfr. Platone, Fedro, 254 b 7.
[36] Cfr. Platone, Repubblica, VI, 508 b 3; 509 a 1.
[37] Cfr. Platone, Filebo, 60 b 10.
[38] Cfr. Platone, Fedro, 245 c 9.
[39] Cfr. Platone, Alcibiade, 116 c 1-6.
La traduzione dal greco è stata condotta sul testo dell’editio minor di Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.
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