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Plotino, Enneade I 6 [1: Sul bello], 7

Plotino, Enneade I 6 [1: Sul bello], 7

Feb 26

 

 

Brano precedente: Plotino, Enneade I 6 [1: Sul bello], 6

 

7. Bisogna quindi rivenire in alto all’ottimo bene, cui si dirige appetendo ogni anima. Se qualcuno quindi ha visto esso, sa ciò di cui parlo, come sia bello. È oggetto di desiderio, infatti, come bene, ed il desiderio si getta verso questo; l’attingimento di esso, comunque, è riservato a coloro che vengono verso l’alto e |5| si convertono e si spogliano delle vesti che abbiamo indossato venendo in basso [21] ‒ così come coloro che salgono ai santuari dei templi, una volta effettuate purificazioni e disfattisi delle vesti di prima, devono salire nudi ‒ sinché, tralasciando, nella venuta in alto, tutto quanto è altro dal dio, non si vede, con sé solo, esso solo, discreto, semplice, |10| puro [22], ciò in dipendenza di cui tutte le cose s’articolano, a cui tutte guardano, per cui sono e vivono e pensano [23]: è causa, infatti, di vita e pensiero e dell’essere.

Se qualcuno, quindi, lo vedesse, allora quali amori esibirebbe, e quali brame, volendo fondersi con esso, come, ordunque, sarebbe piagato da stordimento accompagnato da piacere! Colui che non l’ha ancora visto è interessato |15| dal dirigervisi come appetendo il bene; in colui che invece l’ha visto subentrano l’ammirare amorosamente l’oggetto bello ed il riempirsi di sgomento accompagnato da piacere e l’esser innocuamente stordito e l’amare di vero amore e con pungente brama ed il deridere gli altri amori ed il disprezzare le cose precedentemente reputate belle; qualcosa di così qualificabile patiscono quanti, dopo aver incontrato vedute di dèi |20| o di demoni, non possono recepire similmente a prima le bellezze d’altri corpi. Che cosa, ordunque, crederemmo se qualcuno contemplasse il bello in sé, di per se stesso puro, riempito non di carni, non di corpi [24], che sta non in terra, non in cielo, così da essere puro? Ed infatti tutte queste cose son avventizie e mischiate e |25| non prime, derivano da quello, ordunque.

Se quindi vedesse quello, che si prodiga per tutte le cose nel lor insieme, e rimanendo dunque in se stesso dà e non accoglie alcunché in sé [25], se lo vedesse rimanendo nella contemplazione di tale deità e godendo di esso assimilandosene, di qual bello potrebbe ancor mancare? Questo, infatti, essendo esso la bellezza al meglio, la bellezza in sé e primitiva, fa sì che |30| i suoi amanti siano belli e li rende amabili. Nel che, dunque, si profila per le anime un agone maestoso ed estremo, nel cui superamento è tutta la fatica finalizzata a non divenire immeritevoli non partecipanti della migliore contemplazione, il cui acquisitore è beato contemplando una visione beata; del tutto sventurato, invece, colui che non l’acquisisce [26]. Infatti sventurato non è colui che non acquisisce questi colori o questi corpi |35| belli, né colui che non acquisisce né potenza né cariche né regalità, tutt’altro: lo è colui che non acquisisce questo e questo solo, per la cui sovranità bisogna rinunciare sia ai regni sia ai domini di tutta la terra e del mare e del cielo, se uno, abbandonando e disdegnando queste cose, voltosi verso quello può vederlo.

 

Note

[21] Cfr. Platone, Gorgia, 523 c – e.

[22] Cfr. Platone, Simposio, 211 e 1.

[23] Cfr. Aristotele, Del cielo, Α 9, 279 a 28-30; Metafisica, Α 7, 1072 b 14.

[24] Cfr. Platone, Simposio, 211 d 8 – e 2.

[25] Cfr. Platone, Timeo, 52 a 2.

[26] Cfr. Platone, Fedro, 247 b 5-6; 250 b 6.

 
La traduzione dal greco è stata condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 
Brano seguente: Plotino, Enneade I 6 [1: Sul bello], 8

 

 


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