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Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 6

Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 6

Mar 26

 

 

Brano precedente: Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 5

 
6. Se l’argomento concedesse che la felicità si dà nel non provare dolore e non ammalarsi e non incappare in disgrazie e non cascare in grandi sfortune, allora chiunque non sarebbe felice innanzi alla presenza delle contrarietà; se invece questa [la felicità] è insita nel possesso del vero bene, |5| perché si deve, rinunciando a quest’ultimo ed a giudicare il felice guardando a questo, cercare le altre cose che non si conteggiano nel computo della felicità? Se infatti [la felicità] fosse una congerie fortuita di beni e di cose necessarie oppure non necessarie ‒ queste altrettanto definite beni ‒, bisognerebbe |10| ricercare la presenza anche di queste; se invece il fine deve essere un unico qualcosa, in alternativa all’esservi più fini ‒ in questo modo, ecco, si ricercherebbe non già il fine, bensì si ricercherebbero i fini ‒, bisogna pigliare solo quello che è eccellente ed il più valido e quello che l’anima cerca d’insinuare in sé. Ordunque, questa ricerca e la volontà non interessano il non essere in questo fine: queste cose, |15| infatti, non le [all’anima] appartengono per natura, ma rimangono solo presenti; il raziocinio le fugge sloggiandole oppure cerca d’assumerle; in sé, invece, la progettualità aspira a quel ch’è migliore di essa, da cui, quando si genera in essa, è riempita e stabilizzata, ed è questa la vita ontologicamente voluta. Dunque la volontà non può interessarsi della presenza di qualcuna delle cose necessarie, se |20| si assume la parola “volontà” in senso proprio invece di pronunciarla altrimenti, abusivamente, nella misura in cui reputiamo opportuna la presenza anche di queste cose. Occorre sì, in generale, che decliniamo i mali, eppure il volere non è invero quello d’effettuare tale declinamento: piuttosto, infatti, il volere è quello di non abbisognare neppure di tale declinamento [17]. Lo provano, dunque, anche |25| gli stessi [beni] come salute ed assenza di dolore, quando presenti. Quale, infatti, è l’attrattiva di queste? Si pensa poco, ecco, a salute ed assenza di dolore presenti. Ordunque, le cose che, presenti, non hanno nessuna attrattiva né facilitano alcunché di relativo alla felicità, mentre da assenti son ricercate a causa della presenza dei dolori, è ragionevole |30| professare che siano necessarie, ma non beni. Non bisogna, ordunque, contarle nel computo del fine, ma, pur essendo assenti esse e presenti i contrari, il fine va custodito illeso.

 

Note

[17] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, Γ 4, 1111 b 26-28.

 
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 
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