Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 2
Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 2
Mar 12
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2. Orbene, coloro che non lo [il vivere bene] concedono alle piante perché non sentono [6] rischiano di non concederlo neppure a tutti i viventi nel loro insieme. Se infatti giudicano sensazione questo, non lasciare latente un’affezione per la coscienza [7], essa, l’affezione, deve essere buona prima che |5| non sia più latente per la coscienza, come dev’esserlo esibire uno stato conforme a natura, quand’anche fosse latente per la coscienza, ed essere nella condizione propria, quand’anche s’ignorasse ancora che è propria e che è piacevole: deve, infatti, essere piacevole. Cosicché, giacché questa [affezione] è buona ed è presente, colui che l’ha è in una condizione buona. Sicché perché si deve aggiungere la sensazione, se non perché dotano del bene non più l’affezione che si genera, |10| bensì la conoscenza e la sensazione? In questo modo, ecco, diranno altresì che il bene son la sensazione stessa e l’attività della vita sensitiva [8], quali che siano poi i percepiti. Se dunque argomentano che il bene è esito d’entrambi, come dalla sensazione di un oggetto tale e tale, come possono, se ciascuno dei due è indifferente, |15| argomentare che il bene è esito d’entrambi? Se argomentano invece che il bene è l’affezione ed il vivere bene uno stato tale che, quando il bene è presente, lo si riconosce, bisogna chiedere loro se si vive bene giacché si riconosce che questo bene presente è presente, oppure se si deve riconoscere non solo che è piacevole, ma anche che questo è il bene. Ma se si deve riconoscere che questo è il |20| bene, questa è una funzione non già della sensazione, bensì d’un’altra facoltà maggiore della sensazione. Toh, allora il vivere bene non sussisterà per coloro che provano piacere, bensì per colui che è capace di riconoscere che il bene è un piacere. Causa, dunque, del vivere bene non sarà il piacere, bensì l’esser capaci di discernere che piacere è bene. E |25| quel che giudica è migliore di quel che patisce l’affezione: è infatti la ragione o l’intelletto; il piacere è invece un’affezione; in nessun modo, ordunque, l’irrazionale è migliore della ragione. Come farà, orbene, la ragione, rigettandosi, a giudicare che dell’altro, collocato nel genere opposto, sia migliore di se stessa? Sembra altresì, ecco, che quanti non concedono alle piante il viver bene e lo concedono ad una tal sorta di sensazione |30| lascino latente nell’inconscio che cercano un qualche vivere bene maggiore e pongono quel ch’è migliore in una vita più chiara.
Dunque, vi son anche quanti [gli stoici] argomentano che [la felicità] è in una vita razionale [9], e non nella semplice vita, neppure se fosse sensibile; già, forse argomentano bene. Ordunque, occorre chiedere loro perché argomentano in questo modo e beneficano con la felicità solo il vivente razionale. |35| Forse, ecco, questo “razionale” è aggiunto giacché la ragione è più ingegnosa ed è capace di rintracciare e permettersi facilmente le cose soddisfacenti i bisogni primari conformi a natura, o anche casomai non sia capace di rintracciarle né d’ottenerle? Ma se è per la miglior capacità di trovarle, la felicità interesserà anche coloro che non hanno ragione, |40| casomai senza la ragione, per natura, ottenessero le cose soddisfacenti i bisogni primari conformi a natura, e la ragione sarebbe allora un funzionario subalterno e non verrebbe scelta di per se stessa, e neppure lo sarebbe la sua perfezione, che professiamo essere virtù [10]. Se invece professerete che il suo [della ragione] valore non dipende dall’avere le cose soddisfacenti i bisogni primari conformi a natura, ma dipende dall’essere amabile di per sé, |45| bisognerà argomentare quale altra funzione abbia e quale sia la sua natura e che cosa la renda perfetta. Infatti ciò che deve renderla perfetta non è la contemplazione perlustrante queste cose, tutt’altro: la sua perfezione è qualcos’altro ed altra è la sua natura e non è uno di questi bisogni primi conformi a natura, né una delle realtà esito delle quali son i bisogni primi |50| conformi a natura, né insomma è di questo genere, tutt’altro: è migliore di tutte queste cose nel loro insieme; sennò non indovino come essi abbiano modo d’argomentare il suo valore. Ma costoro, sinché non abbiano trovato una natura migliore di quelle attorno alle quali adesso stazionano, siano lasciati là dove desiderano rimanere, col lor avere un’aporia |55| sulla maniera in cui vi possa essere il vivere bene, su quali di questi viventi sia capace di viver bene.
Note
[6] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, Κ 9, 1178 b 28.
[7] Cfr. Platone, Filebo, 33 d 8-9.
[8] Cfr. SVF, III, 33 e 65.
[9] Cfr. SVF, III, 687.
[10] Cfr. Aristotele, Fisica, Η 3, 247 a 2.
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.
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