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Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 14

Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 14

Mag 03

 

 

Brano precedente: Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 13

 
14. Ordunque, che l’uomo, ed al meglio il virtuoso, non sia il composto d’ambedue [di anima e corpo] [33], lo prova sia la separazione dal corpo sia il disprezzo dei cosiddetti beni del corpo. Dunque il pensare che la felicità sia tanta quanto è il vivente |5| è ridicolo, giacché la felicità è vita buona che si costituisce per l’anima giacché è attività di questa, e non di tutta l’anima ‒ non lo è, ecco dunque, di quella vegetativa, così da adattarsi al corpo: infatti la felicità non potrebbe essere questo, magnitudine e buon abito del corpo ‒; non è neppure nel percepire bene, giacché |10| i riempimenti di queste [dell’anima vegetativa e dell’anima sensitiva] rischiano di gravare sull’uomo, di trasferirlo verso di loro. Dunque, dopo che s’è generato come un contrappeso opposto, dall’altra parte, verso l’optimum, bisogna sminuire e rendere inferiore la corporalità, affinché s’indichi che quest’uomo è altro dalle esteriorità. Ordunque, l’uomo di questa terra sia pure bello |15| e magnifico e ricco e signore di tutti gli uomini, come se fosse di questo luogo [34]; ebbene, non va invidiato se egli è vittima di tali inganni. Per il saggio, invece, queste cose forse possono non generarsi affatto; se invece si generassero, egli le allevierà, se per davvero bada a sé. Allevierà anche e mortificherà |20| nell’incuria i vantaggi del corpo; si disfarà dunque delle cariche. Pur conservando la salute del corpo, non vorrà essere in tutto e per tutto inesperto di malattie, né tantomeno essere inesperto di dolori, tutt’altro: se anche non si generano, vorrà mostrarseli quand’è giovane; quand’ormai sarà invece nella vecchiaia, non vorrà che né questi né i piaceri l’infastidiscano, né |25| alcuna cosa di questa terra, né propizia né contraria, per non dover tener d’occhio il corpo. Trovandosi, dunque, in mezzo ai dolori, schiererà davanti la potenza di cui egli è portatore contro di essi, non percependo né aggiunta relativa alla felicità nei piaceri, nella salute e nel non penare, né abolizione o diminuzione di essa |30| nei contrari di questi. Se infatti l’un contrario non aggiunge nulla ad essa, allora come fa l’altro contrario ad abolirla?

 

Note

[33] Cfr. Platone, Alcibiade, 130 c 1-2.

[34] Cfr. Platone, Teeteto, 176 a 7-8.

 
La traduzione dal greco è condotta sul testo dell’editio minor Henry-Schwyzer:
Plotini Opera, ediderunt P. Henry et H.-R. Schwyzer, 3 voll., Clarendon Press, Oxford 1964-82.

 
Brano seguente: Plotino, Enneade I 4 [46: Sulla felicità], 15

 

 


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