Plotino, Enneade I 1 (53: Che cos’è il vivente e che cos’è l’uomo?), 12
Plotino, Enneade I 1 (53: Che cos’è il vivente e che cos’è l’uomo?), 12
Ott 02
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12. D’altro canto, se è impeccabile, come son possibili le punizioni? Infatti questo argomento non è consonante ‒ tutt’altro ‒ con ogni altro che professa che essa sbaglia ed agisce correttamente e sconta la pena e va nell’Ade e si reincarna. Ebbene, ci si rifaccia all’argomento che si |5| vuole: forse, dunque, si può anche trovare in qual modo non ripugnino tra loro. Infatti, mentre l’argomento che dà l’impeccabilità all’anima ne ha fatto ognora un ente unico, semplice, argomentando l’identità tra l’anima e l’essere dell’anima, quello che invece la rende capace di sbagliare la complica con e aggiunge ad essa un’altra specie di anima, quella avente le brutali affezioni; |10| un composto, quindi, e l’espressione di tutte le parti diviene l’anima, ed è dunque questo composto conformemente alla sua interezza a patire ed a sbagliare ed è questo che sconta la pena, secondo lui [1], non quello [2]. Quindi professa: «l’abbiamo vista come coloro che vedono il Glauco marino» [3]. Si deve dunque percuotere le aggiunte fatte scrollandole via, |15| se per davvero si vuol vedere ‒ professa [4] ‒ la natura di essa, vedere il suo amore per la filosofia, gli oggetti con cui è in contatto ed ai quali è congenere essendo ciò che è. Altro quindi son la sua vita e le sue attività ed altro è quel ch’è castigato; ordunque, il ritiro e la separazione non son solo da questo corpo, ma anche da tutto l’aggiunto nel suo insieme. |20| Ed infatti nella nascita è fatta l’aggiunta, o, insomma, la nascita è nascita dell’altra specie di anima. Il come, dunque, avvenga la nascita, è stato verbalizzato, cioè: all’evento della discesa, qualcos’altro da essa si genera, quel che viene in discesa, in questo annuire.
Forse quindi rigetta quest’immagine? E l’annuire, dunque, come potrebbe non esser sbaglio? D’altronde se l’|25|annuire è irradiazione verso il basso, non è sbaglio, come non lo è l’ombra, ma responsabile è l’irradiato. Se, infatti, non fosse, [l’anima] non avrebbe alcunché da irradiare. È detta quindi “venire in discesa” ed “annuire” per questo: quel ch’è stato irradiato da essa vive con essa. Rigetta quindi l’immagine, se non le sta accanto quel che l’ha accolta; rigetta, ordunque, |30| non nello scindersene, bensì nel non essere più lì; non è dunque più lì, se tutt’intera guarda là.
Sembra, dunque, che il poeta [5] ottenga questa separazione riguardo ad Eracle mandando il suo spettro nell’Ade e dicendo tuttavia ch’egli stesso era in mezzo agli dèi, sostenendo ambedue le letture: sia che era in mezzo agli dèi, sia che era nell’Ade; e dunque lo divise. |35| Forse, ordunque, il racconto potrebbe essere fededegno in questo senso, cioè: ordunque, Eracle, pur avendo la virtù pratica ed essendo considerato degno, per bellezza e valore morale, d’essere dio, poiché era un uomo pratico, non già teoretico, tale da poter essere interamente là, è in alto, eppure v’è ancora qualcosa di lui in basso.
Note
[1] Platone.
[2] L’anima semplice.
[3] Cfr. Platone, Repubblica, 611 C 7 – D 1. Glauco era un dio marino ricoperto d’incrostazioni e conchiglie.
[4] Cfr. Platone, Repubblica, 611 E 1 – 612 A 4.
[5] Cfr. Omero, Odissea, XI 602.
La traduzione dal greco è condotta sul testo della seguente edizione commentata: Plotino, Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo?: I 1 [53]. Introduzione, testo greco, traduzione e commento di Carlo Marzolo. Prefazione di Cristina D’Ancona, Pisa 2006.
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