Plotino, Enneade I 1 (53: Che cos’è il vivente e che cos’è l’uomo?), 10
Plotino, Enneade I 1 (53: Che cos’è il vivente e che cos’è l’uomo?), 10
Set 25
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10. Peraltro se noi siam l’anima, e inoltre noi patiamo queste affezioni, allora dovrebbe essere l’anima a patirle e farà anche le azioni che facciamo. Abbiamo anche professato che il composto comune è nostro, ed al meglio sinché non ne siam ancora separati. Sicché professiamo anche che le affezioni che patisce il nostro corpo |5| le patiamo noi. Duplice, quindi, è il “noi”, a seconda che si comprenda l’elemento ferino oppure ormai sol quel che lo sovrasta; l’elemento ferino, ordunque, è il corpo dotato di vita. L’uomo vero, invece, è un altro: quello puro da queste, avente le virtù insite nell’intellezione, che risiedono dunque nella stessa anima separata (ch’è separata, ordunque, e può separarsi |10| quand’è ancora qua); giacché, quando questa si distanzia in tutto e per tutto, anche quella irraggiata da essa se ne va seguendola. Invece le virtù generate non nel pensiero, bensì nelle consuetudini e nell’esercizio, son del composto comune: di questo infatti son i vizi, giacché anche invidie e gelosie e commiserazioni son sue. Gli affetti, dunque, di che cosa sono? Alcuni di loro |15| di questo, altri, invece, dell’uomo interiore.
La traduzione dal greco è condotta sul testo della seguente edizione commentata: Plotino, Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo?: I 1 [53]. Introduzione, testo greco, traduzione e commento di Carlo Marzolo. Prefazione di Cristina D’Ancona, Pisa 2006.
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