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Platone, Teeteto (9)

Platone, Teeteto (9)

Ott 21

 

 

Brano precedente: Platone, Teeteto (8)

 

SOCRATE   Prendi quindi, o ottimo, il soggetto in questo modo qui: riguardo agli occhi in primis, ciò che dunque chiami colore bianco, in sé non è, non è qualcosa di altro esternamente ai tuoi occhi né negli occhi, e non disporlo neppure in qualche collocazione: [153e] infatti allora già sarebbe appunto in una posizione, permanendo pure, ed allora non si genererebbe in divenire.

TEETETO   Ma come?

SOCRATE   Seguiamo l’argomento confezionato poco fa: nulla è in sé e per sé uno; e così il nero ed il bianco e qualunque altro colore ci parranno generati a partire dallo scontro degli occhi contro il trasferimento che va loro incontro, e dunque ciò che professiamo essere un colore particolare [154a] non sarà né lo scontrante né lo scontrato, ma qualcosa di peculiare a ciascuno generato nel mezzo; o tu confermeresti forse che come ti appare ciascun colore, tale appare anche ad un cane ed a qualunque animale?

TEETETO   Per Giove, io no, ecco.

SOCRATE   Che dici dunque? Forse che a un altro uomo una qualunque cosa appare simile a come appare a te? Tieni fermo questo, o piuttosto che neppure a te stesso appaia la stessa per il fatto che, similmente, non ti trattieni mai identico a te stesso?

TEETETO   Questa dottrina mi sembra migliore di quella.

SOCRATE   [154b] Quindi se ciò con cui ci commisuriamo o che tocchiamo fosse grande o bianco o caldo, allora non potrebbe mai divenire altro per essersi imbattuto in altro non cambiando per nulla, ecco, in sé; d’altro canto, se, or dunque, quel ch’è commisurato o toccato fosse ciascuna di queste proprietà, allora a sua volta, andandogli incontro qualcos’altro o patendo qualche affezione, in sé non patendo nulla non potrebbe divenire altro. Ecco che adesso, o amico, siam in qualche modo con faciloneria necessitati ad argomentare cose mirabolanti e ridicole, come le professerebbe Protagora e chiunque tenti d’argomentare le stesse cose che argomenta lui.

TEETETO   Come dici dunque, e di quali argomenti parli?

SOCRATE   [154c] Prendi un piccolo esempio e ti saranno evidenti tutti gli argomenti di cui voglio parlare. Ecco qua sei dadi, se ad essi ne accosti quattro, professiamo che sono di più dei quattro, ovvero una volta e mezzo di più; se invece ne accosti dodici, son meno, ovvero metà, e non sarebbe neppure tollerabile argomentare altrimenti; o tu lo tollererai?

TEETETO   Io no, ecco.

SOCRATE   Che dici quindi? Se Protagora o chiunque altro ti dicesse: «O Teeteto, è possibile che qualcosa divenga maggiore o più numeroso altrimenti che essendo aumentato?», che risponderesti?

TEETETO   Beh, se, o Socrate, dovessi rispondere quel che opino relativamente alla questione di adesso, [154d] decreterei che non lo è; se invece dovessi rispondere relativamente alla precedente, badando a non contraddirmi, decreterei che lo è.

SOCRATE   Bene, ecco, per Era, e divinamente. Se non che, come sembra, se rispondi che è possibile, ne verrà qualcosa d’euripideo: infatti la nostra lingua sarà inconfutabile, la mente, invece, non inconfutabile.

TEETETO   Vero.

SOCRATE   Ebbene, se io e te fossimo bravi e sapienti ed avessimo esaminato tutti i contenuti della mente, ormai per il tempo restante per sovrabbondanza [154e] potremmo metterci alla prova l’un l’altro, contendendo sofisticamente in una battaglia cotale, ribattendo agli argomenti altrui con gli argomenti; ora invece, in quanto persone comuni, in primis vorremo considerare nelle relazioni tra di essi che cosa mai siano i pensieri dei quali discorriamo, se per noi son consonanti l’uno con l’altro oppure no.

TEETETO   Io, ecco, lo vorrei assolutamente, eccome.

SOCRATE   E pure io. Giacché così stanno le cose, che altro dovremmo fare, agevolati come siamo da molto tempo libero, se non ispezionare daccapo quietamente, [155a] non indispettendoci ma esaminando veramente noi stessi, che cosa siano mai queste apparenze in noi? Ispezionando le quali in primo luogo professeremo, come io credo, che nessuna cosa può mai divenire maggiore né minore, né per dimensione né per numero, sinché essa sia uguale a sé stessa. Non è così?

TEETETO   Sì.

SOCRATE   In secondo luogo, ecco dunque, professeremo che quello a cui né si aggiunge né si sottrae non può mai né aumentare né scemare, sempre invece è uguale.

TEETETO   Ebbene sì, esattamente.

SOCRATE   [155b] Orbene, non professeremo anche, in terzo luogo, che è impossibile che una cosa sia posteriormente ciò che prima non era senza che questa sia divenuta e divenga?

TEETETO   Sembra, ecco dunque.

SOCRATE   Dunque questi tre enunciati, credo, concordati si combattono nella nostra anima, quando argomentiamo sui dadi o quando professiamo che io, essendo di quest’età, né aumentando né patendo il contrario, in un anno adesso sono maggiore di te, il giovane, posteriormente invece minore, pur non essendomi stata sottratta una quantità della mia massa [155c] ma perché tu sei aumentato. Sono, ecco dunque, posteriormente ciò che prima non ero, pur non essendo divenuto; essendo impossibile esser divenuto senza, ecco, divenire, non sarei dunque mai divenuto minore senza perdere alcuna quantità della massa. Or dunque, ci son altri argomenti così, migliaia su migliaia, se per l’appunto ammettiamo questi. Mi segui ovviamente, o Teeteto: mi sembri infatti non essere inesperto in tali argomenti.

 

La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.

 

Brano seguente: Platone, Teeteto (10)

 

 


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