Platone, Teeteto (36)
Platone, Teeteto (36)
Mar 23
Brano precedente: Platone, Teeteto (35)
SOCRATE Un uomo chiacchierone rischia davvero d’essere, o Teeteto, terribile e sgradevole.
TEETETO Perché dunque? In relazione a che cosa dici questo?
SOCRATE [195c] Disapprovando la mia mentecattaggine e davvero la mia disposizione alla chiacchiera. Quale altro nome si potrebbe infatti confezionare quando qualcuno trascina in su ed in giù gli argomenti non essendo per ottusità capace di persuadersi e non è in grado di svincolarsi da ciascun argomento?
TEETETO Tu, dunque, che cosa disapprovi?
SOCRATE Non disapprovo solo ma anche temo ciò che potrei rispondere se qualcuno mi chiedesse: “O Socrate, hai trovato dunque che la falsa opinione non è né nelle percezioni sensibili l’una in relazione all’altra, né nei pensieri, [195d] bensì nel contatto della percezione col pensiero?”. Lo professerò dunque, io credo, facendomi bello del fatto che noi abbiamo trovato qualcosa di bello.
TEETETO A me ecco sembra, o Socrate, che non sia brutto quel che è stato adesso dimostrato.
SOCRATE “Quindi”, dice, “argomenti pure che l’uomo che pensiamo solo, ma non vediamo, non potremmo giammai credere che sia un cavallo, che pure né vediamo né tocchiamo, pensiamo dunque solo e non percepiamo null’altro per quanto riguarda esso?”. Professerò, credo, di argomentare questi ragionamenti.
TEETETO E rettamente, ecco.
SOCRATE [195e] “Che dici quindi?”, dice, “l’undici, che non si può far altro che pensare, non si potrebbe giammai credere, inferendo da questo argomento, che sia dodici, che pure pensiamo solo?”. Orsù dunque, rispondi tu.
TEETETO Altroché. risponderò che, sì, se li vedesse e toccasse qualcuno potrebbe credere che l’undici sia dodici, per quanto riguarda comunque le rappresentazioni che ha nel pensiero non potrebbe giammai opinare queste dottrine in questo modo.
SOCRATE Che dici quindi? Credi casomai che qualcuno, [196a] propostosi d’ispezionare in se stesso il cinque ed il sette ‒ parlo dunque d’ispezionare non sette e cinque uomini né altro di cotale, ma il cinque ed il sette stessi, che professiamo essere segni mnemonici là nella massa plasmabile e nei quali non è possibile opinare il falso ‒ se qualcuno tra gli uomini avesse già esaminato questi stessi numeri parlando a sé e chiedendosi quanti mai sono, credi proprio che qualcuno, credendoci, abbia detto che essi sono undici, qualcun altro invece dodici, o tutti calcolano e credono che essi sono dodici?
TEETETO [106b] No, per Giove, tutt’altro: molti credono che siano undici; se, dunque ecco, qualcuno ispezionerà in un numero più grande, fallirà molto di più. Credo infatti che tu ragioni per quanto concerne ogni numero.
SOCRATE Credi rettamente infatti; allora investiga se ciò che si genera altro non sia che il credere che il dodici stesso nella massa plasmabile sia undici.
TEETETO Sembra, ecco.
SOCRATE Quindi non si ritorna daccapo agli argomenti primitivi? Colui che, infatti, è affetto da questo, crede che ciò che conosce sia un’altra cosa tra quelle che pure conosce, il che, professammo, è impossibile, e per questa stessa ragione eravamo necessitati ad inferire che non v’è falsa opinione, [196c] per non necessitare lo stesso individuo a conoscere e non conoscere assieme le stesse cose.
TEETETO Verissimo.
La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.
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