Platone, Teeteto (35)
Platone, Teeteto (35)
Mar 16
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TEETETO Non è quindi argomentato bene, o Socrate?
SOCRATE [194c] E lo dirai ancor meglio dopo aver ascoltato anche questo. Ecco: mentre l’opinare il vero è bello, l’opinare il falso è brutto.
TEETETO Come no, dunque?
SOCRATE Professano allora che queste conseguenze si generano da qui. Ebbene, quando la cera nell’anima di qualcuno è profonda ed abbondante e levigata e temperata nella giusta misura, le cose che entrano mediante le sensazioni s’imprimono segnando questo “core” dell’anima ‒ ciò disse Omero (1) alludendo alla somiglianza colla parola “cera” ‒, ed allora per costoro i segni, ingenerati nitidi ed avendo sufficientemente profondità, divengono duraturi nel tempo, e gli uomini cotali sono per prima cosa bravi ad imparare, dotati inoltre di memoria, inoltre non scambiano i segni delle percezioni ma opinano verità. Essendo infatti chiari ed in ampio spazio, distribuiscono velocemente gli oggetti che son chiamati essenti a ciascuna delle impronte di essi, e costoro son chiamati dunque sapienti. O non ti sembra?
TEETETO Ebbene sì, superbamente.
SOCRATE [194e] Quando invece il cuore di qualcuno è villoso ‒ ciò dunque cantò il poeta sapientissimo (2) ‒ o quando è sudicio e di cera non nitida, o troppo umido o duro, quelli la cui cera è umida divengono bravi nell’imparare ma dimentichi, mentre a coloro la cui cera è dura avviene il contrario. Dunque, coloro che invece l’hanno villoso e ruvido, qualche cosa come di petroso o pieno d’una commistione di terra e sterco, hanno i segni impressi nella massa indistinti. Indistinti, dunque, son anche quelli di coloro che han i cuori duri: non v’è infatti profondità in essi. Indistinti, dunque, son anche quelli di coloro che han cuori umidi: [195a] subendo infatti il confondersi divengono velocemente indecifrabili. Se, dunque, oltre a tutte queste condizioni, sono condensati l’uno sull’altro per strettezza di spazio, se in qualcuno c’è un’animuccia piccola, son ancor più indistinti di quelli. Tutti costoro, quindi, risultano nelle condizioni di opinare falsità. Quando infatti vedono od odono o pensano qualcosa, non son capaci d’attribuire velocemente ciascuna di queste cose a ciascun segno, sono lenti, e attribuendo le cose ai segni di altre, per lo più travedono e traodono e trapensano, e costoro, a loro volta, son chiamati falsificatori degli essenti e dunque ignoranti.
TEETETO [195b] Tra gli uomini, ragioni con gli argomenti più retti, o Socrate.
SOCRATE Dobbiamo professare allora che vi sono false opinioni in noi?
TEETETO Eccome.
SOCRATE Anche vere opinioni, dunque?
TEETETO Anche vere.
SOCRATE Dunque ormai crediamo d’aver argomentato un accordo sufficientemente razionale, che cioè in assoluto vi sono ambedue queste specie d’opinione?
TEETETO Ebbene sì, superbamente.
Note
(1) Ilias II 851.
(2) Ilias II 851, XVI 554.
La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.
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