Platone, Teeteto (34)
Platone, Teeteto (34)
Mar 13
Brano precedente: Platone, Teeteto (33)
SOCRATE Ascolta dunque daccapo in questo modo. Io conosco Teodoro ed in me stesso rammemoro come è, e conosco e rammemoro Teeteto allo stesso modo, qualche volta li vedo, altre volte no, e talvolta li tocco talvolta no, e li odo e li percepisco con qualche altra sensazione, talvolta invece non ho nessuna percezione di voi e non di meno vi rammemoro e conosco in me stesso?
TEETETO [192e] Beh sì, assolutamente.
SOCRATE Orbene, tra le cose che voglio chiarire, prima comprendi questa, cioè che è possibile sia non percepire sia percepire le cose che si conoscono.
TEETETO Vero.
SOCRATE Ebbene, anche le cose che non si conoscono spesso è possibile neanche percepirle, spesso invece percepirle solo?
TEETETO È vero anche questo.
SOCRATE Vedi dunque se adesso segui meglio. [193a] Se Socrate conosce Teodoro e Teeteteo ma non vede nessuno dei due e non è presente in lui altra percezione sensibile pertinente ad essi, non potrebbe allora in se stesso opinare che Teeteto è Teodoro. Argomento qualcosa di razionale o no?
TEETETO Sì, è vero, ecco.
SOCRATE Questo, orbene, era il primo di quei casi dei quali parlavo.
TEETETO Lo era, infatti.
SOCRATE Il secondo allora, cioè che conoscendo uno di voi ma non conoscendo l’altro e non percependo nessuno dei due non potrei giammai credere che quello che conosco è quello che non conosco.
TEETETO Rettamente.
SOCRATE [193b] Il terzo dunque: non conoscendo né percependo nessuno dei due non potrei credere che colui che non conosco sia qualcun altro di quelli che non conosco. E giudica d’aver udito daccapo in successione tutti i casi precedenti, nei quali io non opino mai le falsità per quanto concerne te e Teodoro, né conoscendo né ignorando entrambi, e conoscendo l’uno ma non l’altro; ed allo stesso modo per quanto riguarda le percezioni sensibili, se segui.
TEETETO Seguo.
SOCRATE Opinare le falsità resta allora in quest’altro caso: quando, conoscendo te e Teodoro ed avendo in quella massa cerosa [193c] i segni d’entrambi voi come sigilli improntati, vedendo entrambi a grande distanza e non sufficientemente bene, mi prodigo, dando il segno proprio di ciascuno dei due alla visione appropriata, perché, introducendola, s’armonizzi colla sua propria traccia, affinché si generi riconoscimento, se manco questi bersagli e, come avviene per coloro che s’infilano i calzari l’uno al posto dell’altro, scambiando applico la visione di ciascuno dei due al segno dell’altro, oppure [193d] patisco un’affezione quale le affezioni della visione negli specchi che fa trascorrere la destra a sinistra, mi sbaglio: allora dunque avviene l’opinare giudicando qualcosa qualcos’altro ovvero l’opinare le falsità.
TEETETO Sembra, infatti, o Socrate. Come ragioni mirabilmente sull’affezione dell’opinione!
SOCRATE Ebbene, anche quando, conoscendo entrambi, l’uno, oltre a conoscerlo, lo percepisco, mentre l’altro no, e la conoscenza che ho del primo non corrisponde alla sensazione, questo è ciò che argomentavo nei ragionamenti precedenti, e non mi comprendevi allora.
TEETETO No, infatti.
SOCRATE Questo, ebbene, argomentavo, che, conoscendo e percependo l’uno, [193e] ed avendo la conoscenza corrispondente alla percezione sensibile di lui, non si crederà mai che egli sia qualcun altro che si conosce e si percepisce e del quale si ha una conoscenza a sua volta corrispondente alla percezione. Era, ecco, questo che argomentavo?
TEETETO Sì.
SOCRATE Rimaneva, ecco dunque, il caso su cui s’argomentava adesso, in cui appunto professiamo che s’ingeneri la falsa opinione: quello in cui qualcuno, conoscendo entrambi [194a] e vedendo entrambi od avendo d’entrambi qualche altra percezione sensibile, ha i due segni non corrispondenti alla percezione propria di ciascuno dei due, tutt’altro: quale un arciere scarso, gettando scambia lo scopo e sbaglia, il che, or dunque, si denomina falso.
TEETETO A ragion veduta, ecco.
SOCRATE Orbene, quando una percezione sensibile si presenti ad uno dei segni, e ad un altro no, ed armonizzi quello della percezione assente colla presente, in tutte queste occasioni il pensiero fallisce. E in una parola, per quanto riguarda le cose che qualcuno non conosce né ha mai percepito, non è possibile, come sembra, [194b] né fallire né falsa opinione, se adesso noi argomentiamo qualcosa di saldo; per quanto riguarda invece le cose che conosciamo e percepiamo, proprio in questi casi un’opinione si rigira e volta, divenendo falsa e vera: vera agendo nel far combaciare dinnanzi e direttamente le impressioni e le impronte appropriate, falsa facendolo lateralmente ed obliquamente.
La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.
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