Temi e protagonisti della filosofia

Platone, Teeteto (22)

Platone, Teeteto (22)

Dic 23

 

 

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SOCRATE   Quando invece, ecco, egli, o amico, trae in alto qualcuno, e [175c] questo qualcuno desidera venirsene dall’«In che cosa io son ingiusto verso di te e tu lo sei verso di me?» alla speculazione sulla giustizia stessa e sull’ingiustizia, su che cosa ciascuna di esse sia ed in che cosa differiscano da tute le cose e l’una dall’altra, o dal «se un re è felice» e se a sua volta lo è «chi ha acquisito oro» all’obiettivo di speculare perlustrando la regalità e, in universale, l’umana felicità ed infelicità, che qualità interessino queste due ed in che modo sia concesso alla natura dell’uomo acquisire l’una e rifuggire dall’altra; ‒ quando su tutti questi argomenti deve a sua volta rendere ragione [175d] quel piccolo di anima e scaltro e leguleio, ridà a sua volta il controcanto; preso dunque da vertigini ed appeso alla sommità e mirando dall’alto dell’aria, spaventato dalla non consuetudine ed in impasse e balbettando, si presenta ridicolo non alle servette tracie né ad alcun altro ineducato ‒ non ne hanno infatti sentore ‒, bensì a tutti coloro che son stati allevati all’opposto di come lo son gli schiavi. Questo, dunque, è il modo di vivere di ciascuno dei due, o Teodoro: l’uno [175e] è proprio di colui ch’è realmente allevato nella libertà e nella disponibilità di tempo ‒ dunque lo chiami filosofo ‒, per il quale non è ingiurioso sembrare d’essere uno ebete e da nulla quando s’imbatte in disbrighi servili, ad esempio non prestandosi ad approntare un sacco per le coperte né ad insoavire il companatico od argomenti lusinghieri; l’altro, invece, è proprio di colui che può disbrigare tritamente e rapidamente tutte le operazioni di tal specie, mentre non si presta a mettersi indietro il mantello sulla destra a mo’ d’uomo libero né, ecco, coglie l’armonia dei ragionamenti [176a] per inneggiare rettamente alla vita degli dèi e degli uomini felici.

TEODORO   Se persuadessi, o Socrate, tutti delle cose che argomenti come hai fatto per me, allora vi sarebbero tra gli uomini più pace e meno mali.

SOCRATE   Ma non è possibile che i mali siano aboliti, o Teodoro ‒ è infatti necessario che vi sia sempre qualcosa d’opposto al bene ‒, né che risiedano in mezzo agli dèi; di necessità peregrinano invece intorno alla natura mortale ed a questo luogo. Anche per ciò bisogna sperimentarsi [176b] nel fuggire quanto più rapidamente possibile da qua a là. Fuga è dunque assimilazione a dio conformemente al possibile; assimilazione è dunque divenire giusto e pio con l’intelligenza. Ma ecco, o valentissimo, non è assolutamente qualcosa di facile persuadere che non è per i motivi che i più professano che si deve fuggire il vizio e perseguire dunque la virtù, in grazia di questi occuparsi di questo e non di quello, al fine, dunque, di sembrare essere non malvagio bensì buono: queste infatti sono quel che si dice frottola di vecchie, come mi pare; diciamo invece il vero in questo modo. Dio non è in nessun aspetto in nessun modo ingiusto, [176c] ma giustissimo al più alto grado della qualità, e non v’è nulla di più simile a lui di quello tra noi che a sua volta sia divenuto quanto più giusto possibile. Pertiene a questo anche la vera bravura e nullità ed invalidità d’un uomo. Infatti la conoscenza di questo è sapienza e virtù verace, mentre l’ignoranza di esso è insipienza e malvagità in piena luce; ed invece le altre bravure, pur sembrando sapienze, nel potere politico degenerano in grossolane e nelle tecniche in lavori di fatica. [176d] Quindi a colui che commette ingiustizia e dice e pratica empietà vale assai la pena di non concedere assolutamente l’attributo di essere bravo per astuzia: s’inorgogliscono infatti del biasimo e credono d’udire non che sono cialtroni, nient’altro che pesi della terra, ma uomini quali devono esser quelli che nella società politica si salveranno. Va detto invece il vero, cioè che tanto più sono quali non credono, giacché non lo credono: ignorano infatti il castigo dell’ingiustizia, ciò che si deve ignorare di meno. Non è infatti quello che credono, piaghe e morti, che talvolta neppure patiscono pur commettendo ingiustizia, [176e] ma quello cui è impossibile sfuggire.

TEODORO   Di che castigo dunque parli?

SOCRATE   Essendovi, o amico, due paradigmi nell’essente, l’uno divino, felicissimo, l’altro non divino, infelicissimo, non vedendo che v’ha questo, subendo stoltezza e l’estrema insensatezza, [177a] resta loro latente che s’assimilano all’uno mediante le azioni ingiuste, mentre si dissomigliano all’altro, del che dunque pagano il fio vivendo la vita modellata su quella a cui s’assimilano; se dunque diciamo che, se non s’alienano da quella bravura, anche da morti non li accetterà il luogo puro dai mali, invece avranno sempre qui una condotta a loro somiglianza, essendo malvagi in compagnia di malvagi, dunque come se fossero in tutto e per tutto bravi ed astuti ascolteranno queste parole come voci di alcuni insensati.

TEODORO   Hai parlato dunque al meglio, o Socrate.

SOCRATE   [177b] Toh, lo so, o compare. Eppure un qualcosa avviene loro: quando in privato devono rendere e ricevere ragione sulle cose per le quali fuggono, e desiderano permanere molto tempo virilmente e non fuggire vigliaccamente, allora insolitamente, o portentoso, finiscono per non compiacersi essi stessi delle cose che argomentano, e quella retorica in qualche modo si smorza, cosicché sembrano non differire in nulla da bambini. Orbene, lasciamo stare questi argomenti, giacché si dà il caso che siano accessori, ‒ se no [177c] affluendo sempre più sommergeranno il nostro argomento d’inizio ‒ ricominciamo dunque dagli oggetti di prima, se anche a te sembra opportuno.

TEODORO   Beh, per me gli argomenti di tal specie, o Socrate, non son non soavi da ascoltare: son facili infatti da accompagnare per uno che è vecchio tal quale lo son io. Se comunque ti sembra opportuno, ricominciamo.

 

La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.

 

Brano seguente: Platone, Teeteto (23)

 

 


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