Platone, Teeteto (21)
Platone, Teeteto (21)
Dic 16
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SOCRATE Parliamo dunque, come si vede, poiché a te sembra bene così, dei corifei: perché mai infatti si dovrebbe parlare di coloro che, ecco, s’occupano con leggerezza di filosofia? Costoro dunque, sin da quando son giovani, in primo luogo [173d] non sanno la strada per la piazza, né dove è il tribunale od il consiglio o qualunque altro consesso comune della città; dunque, né guardano né ascoltano leggi e decreti orali o scritti. Brighe, dunque, d’eterie coll’obiettivo di conquistare cariche e convegni e banchetti e feste con flautiste, neppure in sogno viene loro in mente di farli. Che, dunque, qualcuno in città sia bennato o malnato, o che qualcuno sia interessato dagli effetti di qualche malefatta di progenitori in linea maschile o femminile, resta per lui più latente dei proverbiali bicchieri del mare. [173e] E neppure sa di non sapere tutte queste cose: infatti non s’astiene dal saperle per esser gratificato dalla buona reputazione, ma in realtà solo il suo corpo trova nella città e vi dimora, mentre il pensiero, ritenendo tutte queste cose piccolezze e nulla, disistimandole vola dappertutto, come dice Pindaro, «e al di sotto della terra», misurandone anche la superficie, «e al di sopra del cielo», facendo astronomia, [174a] ed esaminando in ogni parte tutta la natura degli enti, ciascuno in universale, non abbassandosi verso alcuna delle cose accanto.
TEODORO Che intendi dire con questo, o Socrate?
SOCRATE Ciò che si dice anche di Talete, il quale, facendo astronomia, o Teodoro, e mirando in alto, cadde in un pozzo; una servetta tracia canzonatrice e graziosa per sbeffeggiarlo disse che mentre si profondava nel vedere le cose in cielo gli restavano latenti quelle innanzi a lui e davanti ai piedi. La stessa beffa dunque è calzante per tutti quanti coloro che si prodigano nella filosofia. [174b] In realtà infatti a tale uomo resta latente il prossimo ed il vicino, non solo ciò che fa, ma per poco anche se è un uomo o qualche altra creatura; invece che cosa mai sia un uomo e che cosa a tale natura convenga a differenza delle altre fare o patire, cerca ed a queste faccende adibisce attente diamine. Ecco, comprendi qui, o Teodoro, sì o no?
TEODORO Io sì; e dici il vero.
SOCRATE Ecco quindi, o amico, che tale uomo, in contatto con qualcuno sia in privato sia in pubblico [174c] ‒ dicevo ciò iniziando ‒, quando in tribunale od in qualche altro posto è necessitato a dialogare sulle cose incontrate fra i piedi o negli occhi, esibisce ridicolaggine non solo alle servette tracie ma anche a tutta l’altra massa, cadendo in pozzi ed in ogni impasse subendo l’inesperienza, e l’inabilità terribile procura reputazione d’insulsaggine: ed infatti nei ludibri non ha nulla di privato per metter in ludibrio nessuno, dal momento che non sa nulla di male di nessuno per effetto del non essersene curato; trovandosi in impasse, quindi, pare ridicolo. [174d] Ed in mezzo alle lodi e millanterie degli altri, divenendo chiaro che ride non per finta ma realmente, sembra essere cialtrone. Ed infatti se è encomiato un tiranno od un re, ritiene d’udire che ci si felicita con uno dei pastori, ad esempio un porcaro od un pecoraio od un bovaro, per aver munto molto; giudica tuttavia che essi pascolino e mungano un animale più difficile e più malevolo di quelli, dunque [174e] che questo tale necessariamente divenga selvatico ed ineducato per mancanza di tempo non meno dei pastori, circondato da un recinto nel monte, dalle mura. Quando, dunque, ode che qualcuno che possiede migliaia di pletri di terra od anche di più ne possiede una quantità mirabolante, gli sembra d’udire che ne possiede pochissima, essendo solito osservare la terra tutta assieme. Di coloro che, dunque, compongono inni per la casate gentilizie professando che è nobile chi ha sette avi ricchi, ritiene che questa lode sia propria di coloro che ci vedono in tutto e per tutto ottusamente e poco [175a] non essendo in grado, soggetti all’inadeguatezza dell’educazione, di mirare sempre il tutto, né di calcolare che d’avi e progenitori ne son nati migliaia per ciascuno, innumerevoli, nel novero dei quali per chiunque ne son nati a più riprese di ricchi e poveri, e re e schiavi, e barbari ed Elleni; ma vantarsi ostentando un catalogo di venticinque progenitori e risalire ad Eracle figlio d’Anfitrione gli appaiono assurdità proprie della piccineria di mente, dunque, giacché [175b] il venticinquesimo da Anfitrione in su era tale e quale la sorte lo venne a costituire, come anche il venticinquesimo a partire da questo, ride di loro che non son in grado di calcolare ed alienarsi dalla vanità d’un’anima insensata. In tutti questi casi presi assieme, dunque, un tale uomo è deriso dai più, sia per l’abito superbo esibito ‒ così sembra ‒, sia per l’ignoranza delle cose incontrate fra i piedi, e in ciascun caso si trova in impasse.
TEODORO Parli in tutto e per tutto delle cose che avvengono, o Socrate.
La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.
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