Platone, Teeteto (18)
Platone, Teeteto (18)
Dic 02
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SOCRATE Quindi, in primis, riprendiamo il dialogo dal punto in cui l’abbiamo lasciato in precedenza, e vediamo se correttamente o non correttamente eravamo a disagio quando obliteravamo l’argomento che ciascuno risulta autosufficiente rispetto all’intelligenza, e Protagora conveniva con noi che per quel che concerne il meglio ed il peggio si distinguono alcuni, i quali dunque sono anche sapienti. O no?
TEODORO Sì.
SOCRATE Se, orbene, egli stesso, presente, concordasse sull’argomento e non [169e] avessimo invece noi sovrapposti a lui convenuto su questo soccorrendolo, allora non si dovrebbe per nulla, riprendendolo ancora, consolidarlo; se non che adesso qualcuno potrebbe rinfacciarci di non esser autorizzati a concordare sull’argomento sovrapponendoci a lui. Perciò la cosa migliore è discutere più chiaramente un accordo per quanto riguarda questo punto: non è infatti che cambi poco se è così od altrimenti.
TEODORO Dici il vero.
SOCRATE Orbene, non mediante altri ma a partire dal suo argomento, quanto più brevemente possibile [170a] prendiamo l’accordo.
TEODORO Come?
SOCRATE In questo modo qui: professa che quel che sembra a ciascuno, questo anche è per colui al quale sembra.
TEODORO Ecco, lo professa eccome.
SOCRATE Quindi, o Protagora, argomentiamo anche noi le opinioni d’un uomo, o meglio di tutti gli uomini, quando professiamo che non v’è alcuno che non ritenga sé stesso in alcune cose più sapiente degli altri, mentre in altre altri più di lui, e che, ecco, nei grandi pericoli, quando son tempestati in battaglie o malattie od in mare, tengono a coloro che in ciascun caso comandano come a dèi, aspettandosi salvezza da loro, [170b] che non differiscono in null’altro se non nel sapere; e tutta l’umanità è affatto colma di coloro che cercano disciplinatori e comandanti e di sé e degli altri viventi e delle operazioni, e di coloro che credono invece d’essere capaci di disciplinare, capaci dunque di comandare. Ed in merito a tutti questi casi che altro professeremo se non che gli stessi uomini ritengono che sapienza ed ignoranza siano fra loro?
TEODORO Null’altro.
SOCRATE Quindi non ritengono la sapienza pensiero vero e l’ignoranza opinione falsa?
TEODORO [170c] Beh, e con ciò?
SOCRATE Come ci serviremo quindi, o Protagora, del tuo argomento? Dobbiamo professare che gli uomini opinano sempre dottrine vere, oppure talvolta vere, talvolta, invece, false? Infatti da entrambe le assunzioni consegue che essi ne opinano non sempre di vere ma ambedue le alternative. Ispeziona infatti, o Teodoro, se qualcuno dei seguaci di Protagora o tu stesso desideri battagliare per l’argomento che nessuno ritiene che un altro sia ignorante ed opini dottrine false.
TEODORO Ma è inaffidabile, o Socrate.
SOCRATE [170d] Eppure a questo traguardo, ecco, di necessità arriva l’argomento che definisce l’uomo misura di tutte le cose.
TEODORO Come dunque?
SOCRATE Quando tu, avendo giudicato qualcosa da te stesso, manifesti a me la tua opinione per ciò che concerne qualcosa, per te, ordunque, questo, conformemente a quell’argomento, sarà vero, mentre a noi altri non è possibile divenire giudici per quanto concerne il tuo giudizio, oppure giudichiamo che tu sempre opini dottrine vere? O a migliaia ogni volta ti combattono opinandone in antitesi, ritenendo che giudichi e creda opinioni false?
TEODORO [170e] Per Giove, o Socrate, son appunto in «molte migliaia»* ‒ dice Omero ‒ quelli che, ecco, mi arrecano i fastidi esigibili dagli uomini.
SOCRATE Che dici quindi? Vuoi che argomentiamo che, mentre tu opini, per te stesso, dottrine vere, per migliaia di altri son invece false?
TEODORO Sembra che, a partire dalle assunzioni, ecco, dell’argomento, sia necessario.
SOCRATE Che ne consegue dunque per lo stesso Protagora? Non sarebbe forse necessario, se né lui avesse creduto che l’uomo è misura né lo credessero i più, come per vero non lo credono, che per nessuno, dunque, ci sia questa verità che egli scrisse? [171a] Se invece lui lo credesse, mentre il pubblico non concordasse, vedi che, in primis, quanto maggiore è la moltitudine di coloro cui non sembra rispetto a quella di coloro cui sembra, tanto più non è invece di essere.
TEODORO Di necessità, se per davvero, ecco, sarà o non sarà conformemente all’opinione di ciascuno.
SOCRATE Inoltre, ecco, v’ha questo punto sottilissimo: concordando nell’argomentare che tutti opinano le cose essenti, egli per quanto concerne la sua credenza concede in qualche modo che sia vera la credenza di coloro che opinano in antitesi, in quanto ritengono che egli sbagli.
TEODORO Ebbene sì, assolutamente.
SOCRATE [171b] Quindi non concede forse che sia falsa la sua, se concorda nell’argomentare che è vera quella di coloro che ritengono che lui si sbagli?
TEODORO Di necessità.
SOCRATE Dunque gli altri, ecco, non concederanno che essi stessi si sbagliano?
TEODORO Nient’affatto.
SOCRATE Egli d’altronde, ecco dunque, concorda nell’argomentare che anche quest’opinione è vera, per effetto degli argomenti che ha scritto.
TEODORO Pare.
SOCRATE Da tutti allora, iniziando da Protagora, verranno obiezioni, o meglio, ecco, da parte sua saranno argomentate concordemente, quando converrà con colui che argomenta dottrine opposte, concedendo che costui ne opina di vere; [171c] allora anche Protagora stesso concederà che né un cane né il primo uomo che capita non è misura neppure di una sola cosa che non abbia imparato. Non è così?
TEODORO È così.
SOCRATE Quindi, poiché verranno obiezioni da parte di tutti, per nessuno sarà vera La Verità di Protagora, né per chiunque altro né per lui stesso.
* Od. XVI 121.
La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.
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