Platone, Teeteto (13)
Platone, Teeteto (13)
Nov 11
Brano precedente: Platone, Teeteto (12)
SOCRATE Questo dunque, come sembra, a fatica stavolta l’abbiamo generato, quale che sia in questo caso. Dopo il parto, dunque, bisogna celebrare le sue amfidromie* per davvero correndo in cerchio coll’argomento per ispezionare se si scopra che per noi il generato è non degno d’esser allevato [161a] ma vano e falso. O tu credi che in ogni caso si debba allevare e non esporre, ecco, il tuo bambino, od anche sopporterai di vederlo confutato e non t’indurirai troppo se qualcuno te lo sottrarrà, così di primo parto come sei?
TEODORO Teeteto, o Socrate, sopporterà: non è infatti in alcun modo di carattere difficile. Ma, per gli dèi, dimmi per che ragione neppure così va.
SOCRATE Sei indiscutibilmente, ecco, amico dell’argomentazione e benevolo, o Teodoro, se credi che io sia un qualche sacco d’argomenti e mi sia facile estrarne qualcuno per dire [161b] che queste cose neppure così vanno bene; non intendi dunque quel che avviene, cioè che nessuno degli argomenti esce da me ma sempre da colui che meco dialoga, mentre io non so nulla di più eccetto questo poco: assumere quanto argomentato da un altro, sapiente, ed accoglierlo adeguatamente. Anche adesso sperimenterò questo da parte di costui, senza dire alcunché da me stesso.
TEODORO Tu argomenti, o Socrate, anche troppo bene: fai pure così.
SOCRATE Ebbene sai, o Teodoro, che cosa mi meraviglia del tuo compare Protagor?
TEODORO [161c] Che cosa?
SOCRATE Sugli altri argomenti per me ha parlato del tutto soavemente, dicendo che quel che sembra a ciascuno, questo anche è; mi son invece meravigliato del principio del suo argomento, cioè che non disse, principiando il trattato sulla Verità, che «di tutte le cose è misura il suino» od «il cinocefalo» o qualcun altro di più strano tra quelli che hanno percezione, così da principiare a parlarci in modo magniloquente e del tutto sprezzante, indicando che, mentre noi lo ammiravamo come un dio per la sua sapienza, [161d] si dava il caso che egli non fosse per intelligenza in nulla migliore, non dico di un altro uomo qualsiasi, ma neppure di un girino di rana. O come dobbiam argomentare, o Teodoro? Se infatti per ciascuno sarà vero ciò che opina mediante percezione, ed allora né uno potrà giudicare con discernimento migliore l’affezione d’un altro, né vi sarà uno più autorevole nell’ispezionare correttezza o falsità dell’opinione di un altro, ma ‒ ciò è stato spesso detto ‒ ciascuno da sé solo opinerà le sue dottrine, e tutte queste opinioni, dunque, saranno rette e vere, perché mai dunque, o compare, Protagora sarebbe stato così sapiente da [161e] esser reputato maestro degli altri, giustamente con grandi compensi, mentre noi eravamo più ignoranti, tanto che per noi ci sarebbe stato bisogno di frequentarlo, pur essendo ciascuno in sé misura della sua propria sapienza? Come mai non professiamo che Protagora argomentava queste cose per farsi pubblicità? Quanto invece a me ed alla mia tecnica maieutica taccio quanto ridicolo c’attiriamo, credo dunque sia così anche in complesso per tutta la pratica del dialogare. Infatti questo ispezionare e tentare di confutare i pareri e le opinioni gli uni degli altri, che sono rette per ciascuno, non [162a] è una grande e clamorosa sciocchezza se è vera la Verità di Protagora e non s’è annunziata scherzando dal santuario del libro?
TEODORO O Socrate, quest’uomo è un amico, come anche or ora hai detto. Quindi non accetterei mai che Protagora fosse confutato dicendomi d’accordo, né d’altronde di contendere con te contro la mia opinione. Quindi riprendi Teeteto: anche or ora pareva ascoltarti in modo molto consono.
SOCRATE [162b] Ed allora se andassi a Sparta, o Teodoro, nelle palestre, sarebbe forse valido contemplare gli altri nudi, alcuni brutti, senza mostrare tu stesso il tuo aspetto svestendoti innanzi a loro?
TEODORO Beh, ma perché no, se fossero disposti a concedermelo e ne fossero persuasi? Proprio come adesso credo di persuadervi a lasciarmi contemplare ed a non trascinarmi al ginnasio, rigido ormai come sono, a lottare dunque contro chi è più giovane e più flessuoso.
SOCRATE Ma se così, o Teodoro, a te piace, a me non schifa, [162c] dicono quelli che ripetono proverbi. Dunque bisogna ritornare dal sapiente Teeteto. Parla dunque, o Teeteto, in primis sugli argomenti dei quali or ora discutevamo, tu non ti meraviglieresti forse se così, all’istante, ti palesassi per nulla inferiore in sapienza ad alcuno degli uomini od anche degli dèi? O credi che la misura protagorea s’addica meno agli dèi che agli uomini?
TEETETO Per Giove, io no, ecco; e son del tutto meravigliato per ciò che, ecco, chiedi. Quando, infatti, discutevamo del modo in cui argomentassero la dottrina che quel che sembra a ciascuno questo [162d] anche è per colui al quale sembra, mi pareva che fosse argomentata assolutamente bene; adesso invece l’argomento s’è con veloce impeto rovesciato nel contrario.
SOCRATE Infatti sei giovane, o caro ragazzo, quindi ascolti tutt’orecchi i discorsi per il popolo e ne sei persuaso. A queste obiezioni ecco che Protagora o qualche altro suo sostituto risponderà: «O nobili giovani e vecchi, parlate per il popolo seduti in consesso e mettendo in mezzo gli dèi, [162e] che io elimino sia dal parlare sia dallo scrivere, non argomentando, per quanto li riguarda, se sono o non sono, ed argomentate i ragionamenti che i più accetterebbero ascoltandoli, cioè che sarebbe terribile se ciascuno degli uomini non differisse in nulla per sapienza da una qualunque bestia, e non argomentate invece alcuna dimostrazione necessaria ma usate la similitudine, usando la quale per far geometria Teodoro o qualcun altro dei geometri non varrebbe niente. Ispezionate quindi, tu e Teodoro, se accettereste [163a], per quanto riguarda tali questioni, di argomentare argomenti inferendo mercé persuasività e similitudine».
TEETETO Ma non è giusto, o Socrate, né tu né noi lo professeremmo mai.
SOCRATE In altra maniera dunque bisogna ispezionare, come sembra, cioè come inferisce l’argomentazione sia tua sia di Teodoro.
TEETETO Ebbene sì, del tutto in altra maniera.
* Rito d’inserimento (niente affatto scontato) del neonato nella famiglia e quindi nelle tutele della società: due donne correndo attorno al focolare lo portavano al padre perché lo riconoscesse (dandogli eventualmente il nome).
La traduzione si basa sull’edizione critica di Hicken: Plato, Theaetetus, edit. W.F. Hicken, in Platonis Opera, Tomus I, tetralogias I-II continens, recognoverunt brevique adnotatione critica instruxerunt E.A. Duke, W.F. Hicken, W.S.M. Nicoll, D.B. Robinson et J.C.G. Strachan, Oxford University Press, Oxford 1995.
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