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Platone, Parmenide (7)

Platone, Parmenide (7)

Mag 15

Brano precedente: Platone, Parmenide (6)

 

Dunque Antifonte raccontò che Pitodoro raccontava che, quando Zenone ebbe detto questo, Pitodoro stesso e Aristotele e gli altri pregarono Parmenide di dar dimostrazione di ciò che argomentava e di non fare altrimenti; quindi Parmenide rispose: «È necessario obbedire. Toh, mi sembra di patire quel che passò il cavallo d’Ibico, [137a] che era corridore e vecchio e, in procinto di gareggiare col carro, trepidava per l’esperienza futura; a lui paragonando se stesso, diceva che nolente anch’egli, pur essendo così vecchio, era necessitato ad innamorarsi: anche a me sembra, rammentandomene, d’aver molta paura su come bisogni nuotare alla mia età attraverso un tale e talmente grande mare di argomenti; tuttavia, ecco, devo farvi cosa gradita, anche perché, come dice Zenone, siamo tra noi. Dunque, da dove inizieremo [137b] e quale ipotesi faremo per prima? Oppure, poiché sembra di giocare un gioco affaccendante, volete che inizi da me stesso, cioè dalla mia ipotesi, ipotizzando sull’uno stesso tanto che sia uno quanto che non sia uno per determinare che cosa bisogna consegua?»

«Assolutamente», disse Zenone.

«Quindi chi mi risponderà?», disse. «Forse il più giovane? Ecco, sarebbe meno dispersivo e risponderebbe ciò che crede meglio, e simultaneamente il suo rispondere sarebbe per me una pausa riposante».

[137c] «Eccomi a te pronto per questo, Parmenide», disse Aristotele. «Ecco, parli di me parlando del più giovane. Ma domanda, così rispondo».

«Così sia dunque», disse. «Se è uno, non è forse senz’altro vero che l’uno non potrebbe mai essere molti?» «Ecco no, come potrebbe?» «Allora né deve esserci una sua parte né esso deve essere intero». «Perché?» «Ora, la parte è parte di un intero». «Sì». «Che cos’è dunque l’intero? Intero non sarebbe forse ciò da cui nessuna parte è assente?» «Assolutamente sì». «In entrambi i casi allora l’uno sarebbe costituito di parti, sia essendo intero sia avendo parti». «Di necessità». «Allora così in entrambi i casi l’uno sarebbe molti ma non uno». [137d] «Vero». «Invece esso deve essere non molti bensì uno». «Deve». «Allora né sarà un intero né avrà parti, se l’uno sarà uno». «No, ecco».

«Quindi, se non ha nessuna parte, allora non può avere né principio né termine né mezzo: infatti tali determinazioni sarebbero già sue parti». «Correttamente». «Ed ecco che termine e principio son limiti di ciascun ente». «Come no?» «Allora l’uno è illimitato, se non ha né principio né termine». «È illimitato». «E senza figura allora: infatti non ha parte né del circolare né del rettilineo». [137e] «Come?» «Circolare è precisamente ciò i cui estremi hanno ovunque la stessa distanza dal mezzo». «Sì». «E rettilineo è precisamente ciò il cui mezzo è interposto tra ambedue gli estremi». «È così». «Ed allora l’uno avrebbe parti e sarebbe molti, se avesse parte della figura, tanto rettilinea quanto circolare». «Beh, assolutamente». «Allora non è né rettilineo né circolare, [138a] poiché non ha parti».  «Correttamente».

«Ebbene, essendo tale, non sarà allora in nessun luogo: infatti non sarà né in altro né in sé stesso». «Come mai?» «Essendo in altro, sarebbe effettivamente incluso, circondato da quello nel quale è insito, e allora in molti punti lo toccherebbe in molti luoghi; però, essendo uno e senza parti e non avendo parte della figura circolare, è impossibile che tocchi in molti punti in cerchio». «Impossibile». «Invece, se esso fosse in sé stesso, allora sì che ciò che l’includerebbe in sé stesso non sarebbe altro che esso, giacché sarebbe in sé stesso: [138b] infatti è impossibile che qualcosa sia in quel che non l’include». «Ecco sì, impossibile». «Ed allora, altro sarebbe esso, quel qualcosa che include, ed altro l’incluso: infatti uno stesso ente, da integro, non patirà e non farà mai simultaneamente entrambe le azioni; e così l’uno non sarebbe più uno, ma due». «No, infatti». «Allora l’uno non è in nessun luogo, non essendo né in sé né in altro». «Non è in nessun luogo».


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